Mafia: tornati dagli Usa più forti, arrestati i boss Inzerillo

Operazione anti-mafia della Polizia italiana e Fbi.
Operazione anti-mafia della Polizia italiana e Fbi. (ANSA)

PALERMO. – L’esilio oltreoceano non li ha piegati. Hanno saputo attendere il momento giusto e sono tornati a casa superando il diktat dei corleonesi che 40 anni fa li avevano costretti a lasciare Palermo. E hanno ripreso il comando. Con le tasche piene del denaro guadagnato in 40 anni di traffici di droga, “rispettati” anche da chi obbedendo a Totò Riina aveva impedito loro di rimettere piede in città.

“A noialtri il polso non ce lo deve toccare nessuno, neanche se viene il Papa dall’America o viene San …, no! Nessuno. Non ci passo più…” diceva, non sapendo di essere intercettato, Tommaso Inzerillo, cugino del boss Totuccio, morto ammazzato dal padrino corleonese nella mattanza degli anni ’80. Cacciato dagli Usa, riarrestato in Italia ha scontato la sua pena e si è ripreso il mandamento di Passo di Rigano. Un’ascesa fermata però dagli investigatori che l’hanno arrestato insieme ad altri 17 boss e gregari del clan.

Nomi vecchi tornati agli onori della cronaca nell’inchiesta della Dda “New Connection” che racconta gli affari e le alleanze degli Inzerillo e di un altro storico clan: quello dei Gambino di New York, fedeli alleati degli “scappati” negli anni dell’esilio.

Inzerillo, arrestato col cugino Francesco, figlio del boss assassinato Totuccio, era proprietario, di fatto, di diverse agenzie di scommesse abusive in città, di un negozio di ingrosso alimentare ‘Sicily in Food’, attraverso il quale imponeva la fornitura di prodotti ai rivenditori della zona. A lui gli abitanti di Passo di Rigano si rivolgevano per la soluzione di dissidi privati, riconoscendogli l’autorità.

Come quando un medico che aveva una causa legale con una ex segretaria gli chiese di convincere la donna a ridurre le sue pretese economiche. “Io rispetto di più a te che tanti professori che si sentono e sono uno più fango dell’altro, con tutta la laurea che hanno…”, gli diceva il medico.

“Ci corteggiano tutti a noialtri”, commentava Masino invitato anche a partecipare al summit in cui si tentò di ricostituire la Commissione provinciale di Cosa nostra. Ma Inzerillo preferì mandare un suo uomo, Giovanni Buscemi, anche lui arrestato, temendo che le nuove leve di Cosa nostra, una volta finite in manette, non avrebbero retto il carcere e si sarebbero pentite.

Negli Usa gli “scappati” avevano creato una joint venture internazionale del crimine organizzato insieme a personaggi come Simone e Calogero Zito, pure loro finiti in cella, e sponsor di Salvatore Gambino, sindaco di Torretta accusato di concorso esterno. Gambino, che è stato sospeso dal prefetto di Palermo, secondo il gip aveva un “rapporto perfettamente simbiotico con gli Zito nelle scelte relative alle alleanze, alle tattiche politiche, ai soggetti da inserire in lista quali candidati alla carica di consigliere comunale ed alla nomina dei tecnici”.

“Noialtri non è che possiamo dormire a sonno pieno perché nel momento che noi ci addormentiamo a sonno pieno può essere pure che non ci risvegliamo più!! Non è finito niente, questi i morti li hanno sempre per davanti”, diceva il boss palermitano Nino Rotolo che ha strenuamente tentato di impedire il ritorno degli Inzerillo, certo che prima o poi si sarebbero vendicati della violenza subita.

Ma la memoria di Cosa nostra, quando conviene, è corta. “La crisi seguita alle indagini degli anni ’90, che hanno condotto all’arresto di tutti i capifamiglia della Commissione di Palermo – scrive il gip – aveva portato l’associazione mafiosa ad aprirsi necessariamente all’apporto di chi aveva perso nella seconda guerra di mafia”. E gli Inzerillo si sono ripresi il mandamento con il consenso di chi, come i Sansone, fedelissimi di Riina, e il nemico storico Settimo Mineo, aveva fatto loro la guerra.

(di Lara Sirignano/ANSA)