Venezuela, con Borrell nessun cambio di rotta in Europa

Para el delegado español, la única vía que permitirá a retornar el escenario de respeto es una solución democrática, pacífica y negociada entre los propios ciudadanos.

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L’atteggiamento dell’Europa nei confronti del Venezuela non pare destinato a subire alterazioni. Il nuovo responsabile della diplomazia europea sarà Joseph Borrell, fino a ieri ministro degli Affari Esteri della Spagna. La candidatura di Borrell, come d’altronde quella dell’intera cupola dell’Unione Europea, dovrà superare la prova del voto del Parlamento Europeo, che ha il potere di rifiutare la proposta dei capi di stato e di governo. Ma, di fatto, il voto in Parlamento è solo un passaggio burocratico.

L’elezione di Borrell rappresenta un ulteriore successo del premier Pedro Sánchez e dimostra il ruolo sempre più importante che la Spagna si sta ritagliando nell’ambito del contesto europeo dominato dall’asse franco-tedesco.

Borrell è un profondo conoscitore della realtà latinoamericana ed è un convinto assertore della necessità di isolare il governo del presidente Nicolás Maduro, di cui l’Unione Europea mette in discussione la legittimità della rielezione. Insomma, il neo Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione Europea considera necessario creare un “cordone sanitario”, espressione molto di moda oggi nell’ambito politico spagnolo, che metta con le spalle al muro l’attuale governo venezuelano e lo obblighi ad accettare nuove elezioni presidenziali, democratiche e libere, senza se e senza ma. D’altronde fu lui, in conferenza stampa alcuni mesi or sono, ad annunciare “l’ultimatum spagnolo degli 8 giorni”. E fu sempre lui ad ammettere, rispondendo ad una domanda della “Voce”, che si trattava di una dichiarazione di principio che dava “inizio ad un processo politico”. Quindi, l’indirizzo diplomatico tracciato da Federica Mogherini, con poche variazioni dettate dalle circostanze del momento, sarà quello che seguirà anche l’autorevole rappresentante spagnolo.

Mentre in seno all’Unione Europea lo scenario politico ed economico pare ormai definito, mostrando palesemente l’orientamento conservatore della nuova direzione europea, evidenziando il flop degli euroscettici, la crescente importanza della Spagna e purtroppo il declino dell’Italia come protagonista, la realtà politica venezuelana è sempre più confusa. E l’insistente invito al dialogo del governo non contribuisce a renderla meno complicata. Carota e bastone. Se da un lato il governo del presidente Maduro chiama al dialogo, dall’altro parrebbe chiudere ogni spazio a probabili intese. La morte del Capitano di Vascello, Rafael Acosta, a causa delle torture subite, si presume, a mano della polizia politica, e la violenza con cui le forze dell’Ordine reprimono ogni manifestazione di protesta, contraddicono l’invito al dialogo. La ferocia e l’accanimento delle Forze dell’Ordine contro chiunque osi manifestare il proprio malcontento, qualora ce ne fossero dubbi, sono stati dimostrati a Tariba quando un agente dell’Ordine ha sparato a bruciapelo pallottole di gomma sul volto di un adolescente provocandone la perdita di ambedue gli occhi e condannandolo ad essere cieco per tutta la vita.

Il presidente “ad interim”, Juan Guaidó, ha smentito le voci che affermavano l’esistenza di nuovi contatti ad Oslo tra Governo e Opposizione. Ha negato ogni “avvicinamento” tra delegazioni. Il negoziato, unica via percorribile per arrivare ad un governo di transizione che renda possibili elezioni trasparenti e democratiche, è reso difficile non solo dall’atteggiamento del Governo ma anche dai continui ed ingiustificati attacchi delle frange estremiste dell’Opposizione contro Guaidó. Invocano l’intervento militare esterno, senza contemplare le conseguenze che avrebbe nel Paese e nell’intera America Latina.

E, intanto, l’economia venezuelana sprofonda nel baratro della crisi. Stando all’economista e deputato Angel Alvarado, la contrazione del Prodotto, solo nel primo trimestre dell’anno in corso, è stata del 39,9 per cento. Una recessione, sostiene l’economista, che può compararsi con quella sofferta dalla Spagna durante gli anni bui della guerra civile, alla quale fece seguito la sanguinaria dittatura di Francisco Franco.

Il rappresentante del Parlamento ha anche informato che dal 2013 ad oggi, ovvero in appena sei anni, la contrazione dell’economia è stata di quasi il 65 per cento. Del 64,4 per cento, ad essere pignoli. Ciò vuol dire che in Venezuela non c’è più chi è disposto ad investire nè chi chiede prestiti per aprire nuove attività, e che la disoccupazione aumenta vertiginosamente, vista l’impossibilità della burocrazia di crescere allo stesso ritmo. La caduta del potere d’acquisto ha ovvie ripercussioni sulla qualità di vita del venezuelano e ciò provoca le proteste che si susseguono nonostante la paura della repressione.

Il governo, nonostante il collasso economico, continua a reggere. La sua forza risiede anche nella debolezza dell’Opposizione che continua ad autolesionarsi. Sono le frange estreme, con il loro linguaggio, ad allontanare la possibilità di una soluzione pacifica alla crisi. Chiedono l’intervento dei militari o l’invasione di eserciti stranieri. Sostengono che qualunque cosa sarebbe meglio dell’attuale governo. E’ lo stesso discorso che promosse la candidatura dell’estinto presidente Chávez. I risultati li conosciamo tutti.

Mauro Bafile

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