La Libia pronta a liberare settemila migranti dopo le bombe

Una immagine relativa all'attentato in cui almeno 40 persone sono morte in Libia.
Una immagine d'archivio relativa all'attentato in cui almeno 40 persone sono morte in Libia. ANSA/ ZUHAIR ABUSREWIL

IL CAIRO. – La strage di decine di migranti nel centro di detenzione di Tajoura a Tripoli perpetrata per tragico errore dall’aviazione del generale Khalifa Haftar ha spinto il governo del premier Fayez al-Sarraj a valutare l’ipotesi di chiudere la quindicina di strutture in cui sono rinchiuse circa settemila persone.

E’ l’ultimo avvitamento della crisi libica che rischia di scaricare sulle coste italiane la disperazione di altre migliaia di africani. Tanto che in serata, accanto al presidente russo Vladimir Putin, Giuseppe Conte si è appellato proprio al primo ministro della Libia, esortandolo “ad assumersi le sue responsabilità e a fare di tutto perché crisi umanitarie non esplodano”.

Roma e Mosca sostengono il ruolo dell’Onu e condividono l’esigenza di “lavorare per ottenere un rapido cessate il fuoco” seguito da un “ritorno al tavolo negoziale”, ha sintetizzato Conte. Anche perché, ha avvertito la Russia, se non tacciono le armi la Libia rischia che la guerra civile tracimi su una scala ancora più larga. “Non sarebbe male ricordare da cosa tutto è cominciato. Chi ha distrutto la stabilità della Libia? Per me è stata una decisione della Nato. E questo è il risultato”, ha osservato beffardamente Putin scaricando quindi sull’Alleanza la responsabilità di stabilizzare la situazione.

In giornata, da Tripoli, è stato il ministro dell’Interno Fathi Bashagha ad annunciare che l’esecutivo Sarraj “al momento sta considerando la chiusura dei centri e il rilascio dei migranti illegali per tutelare le loro vite e la loro sicurezza”. La motivazione addotta è stata appunto quella del raid aereo che nella tarda serata di martedì ha causato a Tajoura “più di 60 morti” e “circa 77 feriti”, secondo cifre del ministero della Giustizia libico: insomma, “il fatto che vengano presi di mira i centri di accoglienza da aerei F16” senza che ci sia una contraerea a frenarli, ha affermato il dicastero dell’Interno del governo riconosciuto dalle Nazioni unite.

Il ministero non ha precisato se la riflessione in corso riguardi solo i campi a Tripoli, quelli sfiorati dai combattimenti, o anche quelli in altre zone del Paese. Il numero di centri di detenzione in Libia, secondo le ultime cifre ufficiose più attendibili, oscilla tra 12 e 18. L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati stima che al momento vi siano rinchiuse 5.800 persone, ma altre fonti alzano la cifra a “sei-settemila” migranti. Oltre 3.300, sempre secondo i dati Unhcr, sono a Tripoli e quindi esposti ai combattimenti che dal 4 aprile le forze di Haftar hanno ingaggiato con quelle governative per il controllo della capitale libica.

Il portavoce dell’uomo forte della Cirenaica, Ahmed al-Mismari, ha annunciato che il sedicente Esercito nazionale libico (Lna) di cui Haftar è comandante generale “è pronto a cooperare e ad agevolare un’uscita immediata” dei migranti dai centri. Per sostenere che il governo Sarraj usa i migranti come scudi piazzandoli vicino a obbiettivi militari per screditare l’Lna come avvenuto nel caso di Tajoura, Mismari ha potuto appoggiarsi a un rapporto dell’Onu che ha accreditato informazioni secondo le quali guardie del centro avrebbero sparato su “alcuni migranti” in fuga dopo il bombardamento.

L’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), come ha ricordato un suo funzionario, “da tempo” auspica che “il prima possibile” avvenga un “rilascio dalla detenzione dei migranti nei centri in Libia”. Un’operazione accompagnata però da “una presa di responsabilità dei Paesi europei, affinché supportino dei piani di evacuazione”.

Insomma non una fuga disordinata verso l’Italia, “che sta già facendo la sua parte avendo evacuato circa 700 rifugiati dal dicembre 2017”. “Nonostante la nostra presenza – ha insistito l’esponente dell’Unhcr Andrea De Bonis -, la Libia non è affatto un porto sicuro e c’è una situazione critica di sovraffollamento dei centri di detenzione dei rifugiati”.

(di Rodolfo Calò/ANSA)