Istat: “Pressione del fisco torna a salire, è al top dal 2015”

La sede dell'Istitituto di Statistica Istat. Spread
L'Istat certifica un 12% di spesa in più tra luglio e settembre

ROMA. – La pressione fiscale a inizio 2019 ha ripreso a salire. Non accadeva da quattro anni. E infatti per trovare un livello più alto bisogna tornare al 2015. E’ l’Istat a misurare il peso delle tasse sul Pil. Un aggiornamento a cadenza trimestrale, che segue sempre un andamento crescente: si parte bassi per finire alti. D’altra parte così funziona il calendario fiscale.

Per quanto il valore registrato sarà, con tutta probabilità, il più contenuto si tratta comunque di un dato in rialzo. Dal 37,7% del 2018 si è passati al 38%, mettendo a confronto i primi trimestri. Le opposizioni, dal Partito democratico a Forza Italia, vanno subito all’attacco.

“Parlano di Flat Tax e di minibot sui social, ma nella vita reale delle persone aumentano le tasse”, twitta il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Nessuna sorpresa per il presidente di Fi, Silvio Berlusconi: “Come previsto, ecco la certificazione che questo governo a trazione Cinquestelle sta facendo male al Paese”. Per la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, a questo punto serve subito “uno choc fiscale”.

Ma il bollettino dell’Istat sullo stato di salute dell’economia è completo. Nel report sui conti trimestrali di Stato, famiglie e imprese emerge come il deficit rispetto al Pil sia calato, seppure, sottolinea lo stesso Istituto, “lievemente”, passando dal 4,2% dello scorso anno al 4,1%.

Anche in questo caso si tratta di un dato particolarmente sensibile alle stagioni e il suo andamento fa da contraltare a quello della pressione fiscale. Nei prossimi trimestri si attesterà quindi su livelli inferiori. L’indebitamento comunque riflette una crescita delle entrate un po’ più robusta rispetto alle uscite. Un equilibrio che però si capovolge se si fa il calcolo al netto degli interessi sul debito. L’avanzo primario diventa disavanzo. E il ‘rosso’ si amplia.

Le famiglie come digeriscono il tutto? Stringendo i cordoni della borsa e cercando di risparmiare. Anche se i guadagni non vanno poi male. Anzi. Il potere d’acquisto, complice la bassa inflazione, recupera, tornando ai valori del 2012. Dopo due cali consecutivi nei primi tre mesi del 2019 sale dello 0,9%. Restano tuttavia distanti i picchi pre-crisi (-6,7%).

Per gli italiani al momento la soluzione è tagliare i consumi, che salgono solo dello 0,2%. La prova secondo Confcommercio del clima di “sfiducia”. E’ così che la quota di profitto per le imprese si va assottigliando, tanto che con l’ultima flessione è ai minimi da almeno 20 anni.

Fin qui una fotografia che non fa distinzione tra le diverse aree del Paese. La media nazionale nasconde discrepanze non di poco conto se si guarda all’andamento del Pil nel 2018. Il Nord Est dei distretti stacca il resto del Paese, crescendo dello 1,4%. Il Mezzogiorno resta invece inchiodato a un magro 0,4%. In mezzo il Nord Ovest e il Centro (+0,8%). Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna vengono trainate dall’industria; mentre ad affossare il Sud ci si mette l’agricoltura, colpita “dalla crisi delle coltivazioni olivicole”. Evidentemente gli effetti della Xylella si fanno sentire anche a livello economico.

(di Marianna Berti/ANSA)

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