Corea del Nord: il fratellastro di Kim ucciso era un informatore della Cia

Corea del Nord: un uomo guarda in tv la notizia dell'omicidio del fratellastro di Kim Jong-un.
Corea del Nord: un uomo guarda in tv la notizia dell'omicidio del fratellastro di Kim Jong-un. EPA/JEON HEON-KYUN

PECHINO. – Kim Jong-nam era un informatore della Cia. Il fratellastro del leader nordcoreano Kim Jong-un, ucciso il 13 febbraio del 2017 all’aeroporto di Kuala Lumpur, in Malesia, era una “fonte” che aveva incontrato diverse volte i servizi segreti americani. “C’era un nesso” tra lui e l’agenzia, ha riferito una fonte ben informata al Wall Street Journal. Il processo contro le uniche due imputate dell’omicidio, le esecutrici materiali, s’è chiuso con un nulla di fatto. Doan Thi Huong, vietnamita, è stata liberata a maggio, l’indonesiana Siti Aisyah a marzo dopo la cancellazione degli addebiti da parte della procura.

La fase dibattimentale ha fatto emergere elementi importanti: pochi giorni prima di essere ucciso con il gas nervino spalmatogli in faccia dalle due donne, Kim aveva visto in un albergo dell’isola di Langkawi un americano di origini coreane, forse il contatto Cia, aveva detto la polizia, confermando un’indiscrezione dell’Asahi Shinbum. Morto dopo pochi minuti di agonia, Kim aveva nella sua borsa a tracolla 125.000 dollari in contanti e 12 dosi di atropina, un antidoto per tamponare il composto letale. Una circostanza che dimostra come l’uomo sapesse di essere nel mirino.

Dopo l’uccisione, suo figlio Kim Han-sol, nipote del supremo leader, e altri membri della famiglia, furono presi in consegna a Macao da un gruppo di dissidenti del Nord noti come Cheollima Civil Defense. La loro residenza attuale è sconosciuta. In esilio dopo aver perso i favori del padre Kim Jong-il per il maldestro blitz del 2001 alla Disneyland di Tokyo con un falso passaporto dominicano, Kim aveva trovato rifugio a Pechino e poi a Macao (con la seconda moglie), godendo della protezione dei contatti coltivati tra i coetanei dell’aristocrazia rossa.

Non è un mistero che fosse scampato a diversi tentativi di omicidio degli agenti del Nord, tra cui uno – riferito dall’intelligence di Seul – sventato dalla sicurezza cinese a Macao dopo una violenta sparatoria. I pericoli erano aumentati con la salita al potere a dicembre 2011 di Kim Jong-un, promotore dell’epurazione di centinaia funzionari – tra cui spicca la fucilazione dello zio Jang Song Thaek, suo tutore e numero due, condannato a morte a fine 2013 per alto tradimento.

L’ipotesi d’intelligence fu che Pechino stesse lavorando ad un “golpe rosso”, rovesciando il regime di Kim Jong-un con l’arrivo di Kim Jong-nam, mentre Jang sarebbe stato tutore della transizione. Intercettato spesso dalle tv giapponesi, Kim aveva criticato la successione dinastica, contraria “agli interessi del popolo”. La tesi del quotidiano americano non è nuova e, coincidenza, ricalca quella del libro disponibile da oggi sulla vita del supremo leader (“The Great Successor”) di Anna Fifield, a capo dell’ufficio di corrispondenza del Washington Post a Pechino.

Il mistero della morte di Kim Jong-nam, al pari di una spy story intricata, resta comunque insoluto, almeno ufficialmente: Usa e Corea del Sud hanno accusato Pyongyang, che ha rigettato le accuse. E molti dettagli della sua relazione con la Cia restano oscuri, ha precisato il Wsj, vista anche la complessità di Kim, capace di avere rapporti con l’intelligence di diversi Paesi, Cina in testa. Diversi ex funzionari Usa hanno sostenuto peraltro che il fratellastro del leader, fuori dalla Corea del Nord ormai da molti anni, non avesse basi di potere a Pyongyang e difficilmente avrebbe potuto fornire informazioni utili sui piani della leadership.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)