Mafia: colpo a famiglia Carini, clan del boss fornaio

Due agenti di Polizia intercettano al computer le chat e le chiamate telefoniche
Due agenti di Polizia intercettano al computer le chat e le chiamate telefoniche. ANSA/US POLIZIA

PALERMO. – Il nuovo capomafia di Carini, Antonino Di Maggio, un fornaio, poteva contare su un braccio destro fidato. Un factotum riconosciuto anche dai boss di Palermo. Era Vincenzo Passafiume l’unico che poteva entrare e uscire da casa di “zio Nino” o nel panificio della figlia “Il forno delle Bontà”, dove il boss trascorreva parte della giornata.

Passafiume, 58 anni, con accuse di furto, ricettazione, porto d’armi, rapina, estorsione, sequestro di persona, truffa e associazione mafiosa era anche l’autista del capomafia. Era lui che gestiva tutti gli affari. A imporre il pizzo c’era Salvatore Amato, anche lui finito in carcere nell’operazione di polizia a Carini alle porte di Palermo, sfociata nell’esecuzione di nove ordini di custodia cautelare.

Non c’era attività commerciale, attività edilizia che la “famiglia” non controllava per imporre il pizzo. Se non si piegavano scattavano le minacce e le intimidazioni. Gli imputati nelle intercettazioni parlavano di cemento, sacchi e misurazioni. Per gli uomini della squadra mobile sono estorsioni ai danni degli imprenditori.

“Non abbiamo avuto nessuna collaborazione da parte dalle vittime – dice Rodolfo Ruperti capo della squadra mobile a Palermo – Solo grazie all’attività investigativa e alle intercettazioni siamo riusciti a ricostruire le estorsioni in paese e nel comprensorio”.

Le indagini sono state coordinate dai pm Amelia Luise, Roberto Tartaglia e Annamaria Picozzi. I cellulari intercettati e le cimici piazzate nelle auto hanno permesso di ricostruire decine di richieste di estorsioni, da poche migliaia fino a centinaia di migliaia di euro nei confronti di catene di negozi di abbigliamento e aziende edili che stavano costruendo a Carini, Capaci e Isola delle Femmine.

Passafiume e Amato, si occupavano anche di altri affari, come la compravendita di un terreno a Villagrazia di Carini, un’area dal valore di circa seicento mila euro il cui ricavato sarebbe finito proprio nelle casse del clan. La cosca era impegnata anche nel traffico di droga: cocaina e hashish per lo più. In questa zona sono stati eseguiti dalla squadra mobile i più grossi sequestri di stupefacenti degli ultimi anni.

Il nome di Antonino Di Maggio era già venuto fuori tre anni fa nel corso dell’inchiesta che aveva fatto scattare le manette per un insospettabile titolare di un’agenzia di pompe funebri, Alessandro Bono, anche lui tra i destinatari della misura cautelare e già in carcere. Bono avrebbe gestito un intenso traffico di droga a livello internazionale, con continui contatti con il Sud America, dal quale veniva importata la cocaina.

La zona di Carini, a due passi dall’aeroporto di Punta Raisi, si conferma così ancora una volta come crocevia della droga, dove Cosa nostra trova terreno fertile per i suoi affari. A gestirli sarebbe stato un altro degli arrestati, Fabio Daricca, che avrebbe sostituito il boss finito in carcere. Anotnino Di Maggio era stato infatti arrestato nel 2016 con l’accusa di aver partecipato al duplice omicidio di Giuseppe Mazzamuto e Antonino Failla.

Lascia un commento