Il modello Frederiksen sui migranti piace ai danesi

Mette Frederiksen, leader del partito Danish Social Democrats (con il vestito giallo), festeggia la vittoria nelle elezioni in Danimarca.
Mette Frederiksen, leader del partito Danish Social Democrats (con il vestito giallo), festeggia la vittoria nelle elezioni in Danimarca. EPA/Rene SchÃtze DENMARK OUT

ROMA. – Mette Frederiksen è il volto della nuova socialdemocrazia in Danimarca: ancorata alla tradizionale difesa del welfare, ma restrittiva verso i migranti. La giovane leader ha lanciato la sua sfida agli elettori del paese scandinavo, che l’hanno accettata premiandola alle urne. Figlia di un tipografo e di un’insegnante, Mette Frederiksen è entrata in Parlamento nel 2001, a 24 anni, dopo un’esperienza nel sindacato.

E’ stata ministro della Giustizia e del Lavoro, prima di prendere le redini del primo partito del paese nel 2015. Al posto di Helle Thorning-Schmidt, prima donna premier danese ma uscita di scena dopo la vittoria del centro-destra. Ed oggi, a 41 anni, può diventare il capo di governo più giovane a Copenaghen.

La sua ricetta per riportare i socialdemocratici in vetta ha messo nel conto una brusca rottura con il passato di una sinistra inclusiva: fare proprie le preoccupazioni del 30% dei danesi, secondo cui l’immigrazione è la questione principale da risolvere. Così ha promesso che la linea dura sull’accoglienza, portata avanti dal governo uscente dei liberali, non sarà sconfessata.

Frederiksen ha abbandonato le idee radicali (nel 2000 denunciava le politiche danesi come le più dure in Europa) ed ha optato per il pragmatismo, seguendo il vento che spira da diversi anni anche nella Danimarca progressista, dopo che centinaia di migliaia di profughi hanno iniziato a bussare alle porte dell’Europa. Provocando l’ascesa dei populisti.

Ridurre al minimo il numero dei migranti è un obiettivo condiviso da tutti i partiti danesi, ad eccezione dell’estrema sinistra, per proteggere la prosperità e la coesione sociale del paese. Tanto che Frederiksen, tra le altre cose, ha proposto di rimandare i richiedenti asilo in speciali strutture in Nord Africa in attesa degli accertamenti necessari.

“Alcuni elettori che avevamo perso negli ultimi anni, perché non sostenevano la nostra politica migratoria, stanno ritornando”, aveva previsto la leader socialdemocratica, alla vigilia del voto. E così è stato. Ai danni dell’estrema destra, su tutti il Danish People’s, che ha dimezzato i voti rispetto al 20% del 2015.

La retromarcia sull’immigrazione, comunque, non impedirà ai socialdemocratici di mantenere un profilo di sinistra sulle altre questioni. Sfruttando il fatto che la Danimarca gode di una crescita robusta, tassi minimi di disoccupazione ed un equilibrio di bilancio, il partito di Frederiksen si è concentrato sul cambiamento climatico (per la maggioranza degli elettori è la priorità, se si pensa allo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia) e sulla difesa dello stato sociale, promettendo di interrompere i tagli all’istruzione e all’assistenza sanitaria.

Adesso si apre la partita della formazione del nuovo governo, ora che il premier uscente Lars Loekke Rasmussen ha rassegnato le dimissioni alla regina Margrethe. Frederiksen immagina un esecutivo monocolore che cerchi l’appoggio esterno sui singoli dossier. Anche della destra, se si tratta di immigrazione. Ma la sinistra, con cui i socialdemocratici hanno la maggioranza assoluta in parlamento, potrebbe non gradire questa ambivalenza. O quantomeno chiedere una contropartita pesante. A questo punto, gli analisti prevedono settimane di “intensi negoziati”.

(di Luca Mirone/ANSA)

Lascia un commento