Cannabis, Cassazione: “Vendita derivati è fuori dalla legge”

Scaffale esibizione di vari prodotti in un negozio autorizzato per la vendita.
Scaffale esibizione di vari prodotti in un negozio autorizzato per la vendita.

ROMA. – Per la Cassazione, la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti “derivati dalla coltivazione della cannabis”, come l’olio, le foglie, le inflorescenze e la resina. A dirlo con chiarezza sono state le Sezioni Unite penali della Suprema Corte che hanno affrontato il nodo della ‘cannabis light’ e quindi di riflesso quello dei negozi che vendono questo tipo di prodotti, arrivando alla conclusione che l’unica coltivazione consentita di ‘canapa sativa’ è quella destinata a fini medici. Tuttavia, vendere questi ‘derivati’ – sui quali è nato un fiorente business – è reato “salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante”.

Una valutazione che dovrà essere fatta caso per caso dai giudici di merito che devono stabilire se sequestrare o meno questa merce, dal momento che gli ‘ermellini’ – almeno in base a quanto emerge dalla massima di diritto che hanno redatto – non sembrano aver affrontato il tema della soglia del principio ‘drogante’ consentito. Qualcosa di più emergerà quando verranno depositate le motivazioni del verdetto.

“Siamo contro qualsiasi tipo di droga, senza se e senza ma, e a favore del divertimento sano”, ha commentato il Ministro dell’Interno Matteo Salvini. “Soddisfazione” anche dal Ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana che nel verdetto vede una “conferma delle preoccupazioni che abbiamo sempre manifestato in relazione alla vendita di questo tipo di prodotti e la bontà delle posizioni espresse e delle scelte da noi adottate fino ad oggi”. Per Annagrazia Calabria di FI, “non si possono tollerare zone d’ombra che in qualche modo legittimino la subcultura dello sballo”.

I radicali invece sperano che non sia “una sentenza ‘politica’, in linea con il volere di un ministro che ha annunciato un’offensiva contro la cannabis light” e rilevano che si colpisce “uno dei più promettenti settori dell’agricoltura”.

“La commercializzazione di ‘cannabis sativa L’. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n.242 del 2016 che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa” a fini medici, “pertanto integrano reato”, afferma la Cassazione “le condotte di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati” dalla coltivazione della cannabis, “salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.

Il verdetto si conclude con l’annullamento con rinvio della revoca di un sequestro di ‘derivati’ avvenuto nelle Marche, come chiesto in subordine dal Pg della Suprema Corte Maria Giuseppina Fodaroni che si era espressa per l’invio degli atti alla Consulta, come prima indicazione. Ad avviso del Pg, secondo quanto riferito da fonti della difesa, “le indicazioni fornite dal legislatore, non sono chiare: pertanto non vi è la prevedibilità, da parte del cittadino e del commerciante, sulle condizioni suscettibili di essere sanzionate”.

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