Di Maio fa muro alla Lega, apre su gestione. In campo Di Battista

Il vice premier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ospite della trasmizzione 'Povera Patria', sullo schermo immagine di Matteo Salvini
Il vice premier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ospite della trasmizzione 'Povera Patria', sullo schermo immagine di Matteo Salvini, Roma 6 maggio 2019. ANSA/GIUSEPPE LAMI

ROMA. – C’è un “prima” e un “dopo” nella storia del M5S, ed è il 27 maggio 2019. La debacle delle Europee è netta, dolorosa e getta la leadership di Luigi Di Maio in un frullatore il cui epilogo è tutto da scrivere. Dopo ore di lugubre silenzio il capo politico del Movimento sceglie di parlare al suo ministero e di gettare lì l’ultima trincea. Ma, da qui ai prossimi giorni, una rivoluzione nell’organigramma è nell’ordine delle cose: il capo politico dovrà “allargare” la cabina di comando in qualche modo.

E, non a caso, Di Maio dopo aver parlato ai cronisti convoca al Mise lo stato maggiore del Movimento, incluso Alessandro Di Battista, tornato pienamente in campo. Non passano inosservate, infatti, le parole con cui Di Maio nega un suo commissariamento. “Ho sentito tutti i rappresentanti delle anime del M5S, Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Alessandro Di Battista e Roberto Fico e nessuno mi ha chiesto le dimissioni”, scandisce il vicepremier certificando, implicitamente, l’esistenza di correnti interne.

E nell’universo politico del Movimento è una novità non da poco. Dei quattro citati da Di Maio, mentre Grillo si affida ad una battuta (“Oggi Radio Maria e Canti gregoriani”) solo il “Dibba” si presenta nel pomeriggio al Mise, in una riunione di oltre tre ore alla quale partecipano Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro, Paola Taverna, Gianluigi Paragone, Carlo Sibilia, Stefano Buffagni, Vinecenzo Spadafora, il fedelissimo di Casaleggio.

L’analisi del voto è impietosa, il rischio di una crisi d’identità, stretti tra la cavalcata della Lega e un Pd in recupero, concreto. Anzi, nei vertici c’è la convinzione che senza virata comunicativa di Di Maio delle ultime settimane, sarebbe potuto andare anche peggio. Non a caso Di Battista da un lato assicura che il governo va avanti ma dall’altro sottolinea come, nonostante la sconfitta, il comportamento del M5S non cambierà rispetto all’ultimo mese e mezzo.

“Non è quello il responsabile del nostro crollo, se la Lega tira fuori una boutade dobbiamo dire che è una boutade e metterci di traverso”, sottolinea. Un nuovo appiattimento alla Lega, secondo i vertici, potrebbe insomma essere fatale al Movimento e allora meglio tenere il punto con l’alleato, rischiare il tutto per tutto ma mantenere il nocciolo duro dell’elettorato.

Di Battista, prima di entrare al Mise, sembra escludere un “j’accuse” nei confronti di Di Maio. “Uniti abbiamo vinto e uniti abbiamo perso, per me non è una problematica di chi, ma di cosa e di come si fanno le cose”, spiega l’ex parlamentare mentre Buffagni assicura: “nessun processo a Di Maio”. Ma su blog la protesta per la sconfitta monta mentre la dissidente Paola Nugnes lancia la sua stoccata su Fb: “avrà pure parlato con tutte le anime ma non con lo Spirito Santo”.

Mercoledì, nell’assemblea dei gruppi, Di Maio è chiamato ad evitare un vero e proprio processo. E il leader, il prima possibile, dovrà ripristinare la presa sui territori e la collegialità nelle decisioni scemata negli ultimi mesi. “L’ascolto, la forza di cambiare, di allargare, di far partecipare, la meritocrazia” sono fondamentali, osserva non a caso Buffagni. E sui temi, osservano nel M5S, non sono ammessi dietrofront: e lì che si cela l’identità perduta del Movimento.

(di Michele Esposito/ANSA)

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