Pioggia d’accuse contro Assange, la stampa Usa trema

Il co-fondatore di Wikileaks Julian Assange. Archivio
Il co-fondatore di Wikileaks Julian Assange. .Archivio. EPA/NEIL HALL

NEW YORK. – Una pioggia di capi d’accusa, ben 17, travolgono negli Stati Uniti Julian Assange. E ora il fondatore di WikiLeaks rischia fino a 170 anni di carcere. L’amministrazione Trump li ha spiccati per violazione dell’Espionage Act tramite la pubblicazione nel 2010 di documenti diplomatici e militari top secret. Ma il caso va ben oltre l’incriminazione di Assange e assume una portata ben più ampia: in gioco – secondo gli osservatori – ci sono il primo emendamento e i media, i “nemici del popolo”, come li ha più volti definiti Donald Trump.

Nell’affondo contro il fondatore di WikiLeaks le associazioni per la libertà di stampa leggono infatti un attacco proprio ai giornalisti, orchestrato da chi li accusa di continuo di produrre ‘Fake News’. I capi d’imputazione contro Assange riguardano l’aver ottenuto e pubblicato materiale top secret ricevuto da alcune fonti nel governo. Nel caso di Julian, i documenti furono trafugati dall’ex analista dell’intelligence Usa Chelsea Manning e passati a WikiLeaks mettendo in grave imbarazzo l’amministrazione americana.

“Ricevere e pubblicare documenti ottenuti da una fonte di governo è qualcosa che i giornalisti fanno sempre”, ha osservato il New York Times, definendo l’azione senza precedenti di Trump contro Assange un attacco al primo emendamento che lascia presagire una severa stretta da parte dell’amministrazione sulla fuga di notizie. L’Espionage Act è stato usato raramente nei confronti di chi ha diffuso informazioni riservate, per le ampie implicazioni che comporta.

L’ipotesi di incriminare Assange con quella legge era stata valutata anche dall’amministrazione Obama, che però vi rinunciò temendo proprio gli effetti che avrebbe avuto sul giornalismo investigativo, e soprattutto di veder bollata l’azione come incostituzionale. L’amministrazione Trump ha deciso invece di percorrere proprio questa strada, aprendo un nuovo fronte di scontro i media americani.

Il Dipartimento di Giustizia ha cercato di smorzare le polemiche: “Siamo consapevoli del ruolo dei giornalisti nella nostra democrazia e vi ringraziamo. Ma Assange non è un giornalista e le sue azioni hanno messo seriamente a rischio la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, portando benefici ai nostri avversari”.

Rassicurazioni e ringraziamenti caduti però nel vuoto. “Invocare l’Espionage Act in questo caso minaccia di far sparire la distinzione fra un giornalista che espone le malefatte del governo e le spie straniere che cercano di mettere a rischio la sicurezza nazionale”, ha tuonato il New York Times. “E’ un attacco ai giornalisti”, ha accusato lo stesso Assange attraverso il suo legale. Per lui, ad ogni modo, si tratta di un colpo durissimo.

In attesa di sapere se sarà estradato negli Stati Uniti dopo il suo arresto a Londra l’11 aprile, rischia una condanna a dieci anni per ognuno dei capi d’accusa. E sul suo futuro già incerto resta ancora da sciogliere il caso della Svezia, che attende una risposta alla sua domanda di estradizione dal Regno Unito per un controversa accusa di stupro.

(di Serena Di Ronza/ANSA)

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