Juan Guaidó e il dialogo per la transizione

CARACAS – Juan Guaidó tra due fuochi. Le pressioni che esercitano sul presidente designato dal Parlamento i settori radicali dell’Opposizione sono sempre più importanti. L’ipotesi di un possibile intervento militare esterno, come afferma il presidente degli Stati Uniti, è sempre sul tavolo; un’ipotesi mai bocciata. E le ultime dichiarazioni del presidente “ad interim” fanno pensare che realmente in seno all’Opposizione si stia vagliando una tale eventualità. Un intervento armato esterno, sia pure di una coalizione di paesi latinoamericani e non direttamente nordamericano, così come un “golpe” sarebbero una tragedia per il Venezuela e non solo per il Paese. Chiederebbero un tributo di sangue ancora più grande di quello già dato fino ad oggi dai venezuelani e renderebbero molto più difficili le relazioni diplomatiche del Venezuela con il resto del mondo. Guaidó ne è pienamente cosciente.

Infatti, una cosa è un’insurrezione popolare, come quella promossa da Guaidó, accompagnata dalle Forze Armate, e un’altra un “golpe”, voluto da militari interni o esterni. Il primo caso ci riporta alla memoria l’insurrezione del 58, quando il dittatore Pérez Jiménez fu obbligato a fuggire dal Paese. In quel momento l’iniziativa fu presa dalle forze politiche e da un settore genuinamente democratico delle Forze Armate. Ciò permise la costituzione di un governo di transizione al quale furono chiamati a partecipare Blas Lamberti, Eugenio Mendoza ed Edgar Sanabria, personalità della società civile d’indiscussa autorevolezza. Il secondo, invece, ricorda gli anni bui dell’America Latina; anni in cui i militari, appropriatisi del potere con la promessa di nuove elezioni, seminarono il terrore e si mantennero al potere per anni e anni incarcerando, torturando e uccidendo chi si opponeva.

La ricerca di una soluzione negoziata che allontani il timore di un bagno di sangue, nonostante trovi una forte resistenza da parte di una crescente porzione della popolazione, ormai allo stremo, si presenta oggi come l’unica via percorribile. E’ questo l’obiettivo di Guaidó, che comunque non è disposto ad abbandonare la sua “hoja de ruta”. Gli incontri tra Governo e Opposizione, sponsorizzati dal governo norvegese, rientrano nell’ambito della strategia di chi vuole costruire una transizione pacifica e assicurare il ritorno del Paese al cammino democratico. Il tempo gioca a favore del Governo, è vero. Lo è anche che questo trova nei negoziati l’ossigeno vitale per mantenere strette le redini del potere. Ma nessuno può negare che l’alternativa sarebbe un salto nel vuoto. Un’invasione esterna o un “golpe” provocherebbero squilibri a livello regionale e il probabile ritorno in Venezuela della guerriglia.

Non bisogna sottovalutare poi la partita che giocano oggi Stati Uniti e Russia nello scacchiere internazionale. L’arroganza di Trump, che lascia poco spazio alla diplomazia, e l’ambizione di Putin, già manifestata in Ucraina, si scontrano in Venezuela. Il confronto tra le due super-potenze potrebbe creare le condizioni per una nuova “guerra fredda”. Le conseguenze le conosciamo.

Gli sforzi della piccola delegazione dell’Unione Europea, integrata dal nostro sottosegretario Ricardo Merlo in rappresentanza dell’Italia, devono essere interpretati in questa chiave. La visita avviene nel momento in cui il governo del presidente Maduro mostra il suo volto più feroce. Infatti, all’appello di Guaidó che ha sorpreso chiamando all’insurrezione popolare e chiedendo ai militari di sostenerla, ha fatto seguito una violenta reazione che ha avuto per protagonisti l’Alta Corte, l’Assemblea Nazionale Costituente e la polizia politica. La prima ha dato una giustificazione legale alla revoca dell’immunità parlamentare ai presunti artefici della frustrata insurrezione, la seconda l’ha resa effettiva, dopo un breve dibattito utile solo a salvare le apparenze, permettendo così alla Procura di spiccare mandati di cattura e l’ultima, trasformata nel braccio esecutore del mandato dell’Alta Corte e dell’ANC, ha iniziato la persecuzione di deputati e leader politici. Un numero impreciso di parlamentari ha chiesto “ospitalità” presso alcune Ambasciate, tra cui anche quella italiana, per evitare di essere ostaggi del governo e merce di scambio. Altri sono fuggiti all’estero, varcando clandestinamente la frontiera. Altri ancora, tra cui il vicepresidente del Parlamento, sono stati catturati.

Com’era prevedibile, nell’ambito della sua missione a Caracas, il sottosegretario agli Esteri, Ricardo Merlo, accompagnato dall’ambasciatore Silvio Mignano, ha incontrato Juan Guaidó. La nota diramata al termine dell’incontro non si scosta dal linguaggio ermetico della diplomazia. Si limita ad affermare che si è trattato di un incontro “franco e cordiale”. Guaidó, si legge sempre nella nota, ha ringraziato il sottosegretario per l’impegno con cui l’Italia svolge il suo ruolo all’interno del Gruppo di contatto internazionale.

La posizione del governo italiano nei confronti dell’attuale crisi venezuelana non è né chiara né netta. Il premier Conte, che ha sostenuto che “la posizione italiana è stata fraintesa”, ha cercato in qualche modo di spiegarla.

– Non siamo spettatori distratti o neutrali, ma pienamente coinvolti – ha detto il premier -. L’obiettivo resta arrivare alla pacificazione del Paese, gestendo un percorso politico verso nuove elezioni libere, democratiche e credibili.

Una dichiarazione anodina che riflette le divisioni in seno al governo Conte. Infatti, mentre il Movimento 5 Stelle sostiene, sebbene sempre più debolmente, la legittimità del governo Maduro, la Lega ritiene Guaidó presidente del Venezuela.

Il sottosegretario Merlo ha cercato di spiegare in reiterate occasioni l’atteggiamento del governo nei confronti del Venezuela. Ad esempio, in una nota in risposta ad alcune dichiarazioni dell’Ambasciatore del Venezuela in Italia, Isaías Rodríguez, ha affermato che la posizione “ribadita varie volte dal ministro degli Esteri Enzo Moavero anche nelle Aule parlamentari, è stata chiarissima fin dall’inizio: non riconosciamo la legittimità del governo Maduro, riconosciamo invece la legittimità dell’Assemblea Nazionale, ovvero il Parlamento venezuelano”. C’è da aggiungere, però, che, come espresso da esponenti 5 Stelle del governo, l’Italia non riconosce la legalità del presidente Guaidó, nonostante la sua designazione sia stata una decisione del Parlamento.

Il sottosegretario agli Esteri, Ricardo Merlo, non si è potuto esimere dall’incontrare la nostra Collettività. Nel Centro Italiano Venezolano ha ribadito quanto già dichiarato nel corso di un’intervista concessa al nostro Giornale: presto l’esiguo organico in Consolato sarà rafforzato. E ha anche assicurato che sarà riaperto il Consolato di Maracaibo. Questo, assieme ad altri argomenti di attualità, saranno al centro del dibattito che sicuramente avrà luogo nel corso dell’incontro del Direttore Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie della Farnesina, Luigi Maria Vignali, con la nostra comunità nella Casa d’Italia di Maracaibo.

(The Associated Press)

Intanto, i venezuelani sono prigionieri di una crisi politica, economica e sociale che si aggrava sempre più. Il paese è sull’orlo del baratro. Le difficoltà di trasporto pubblico, i continui black-out, la carenza di medicine, generi alimentari e prodotti per l’igiene (i pochi reperibili nei mercati hanno prezzi che li rendono inaccessibili al potere d’acquisto del cittadino di classe media), il dilagare della delinquenza, la precarietà della sanità pubblica e privata sono parte della quotidianità. A questo cocktail esplosivo, ora, si aggiunge la mancanza di benzina, in un paese ricco di giacimenti di petrolio, e, di conseguenza, il pericolo che il trasporto di alimenti si paralizzi. E’ una realtà che scappa solo a quegli analisti da fine settimana che credono di poter capire una realtà così complessa e contraddittoria come quella venezuelana col solo affacciarsi alla finestra di uno dei pochissimi hotel di lusso che ancora sopravvivono alla crisi.  E che ritengono che nel paese non si muoia di fame solo perché nei pressi dell’hotel vi sono “bodegones” frequentati dalla nuova borghesia arricchitasi all’ombra della corruzione che, come un cancro in metastasi, ha penetrato ministeri e aziende statali. Sono questi analisti che, tra drink e tuffi in piscina, ci raccontano un Venezuela che esiste solo nell’abile propaganda di Stato; propaganda che nega la repressione durante le manifestazioni dell’Opposizione, gli arresti indiscriminati di politici e giornalisti, la tortura di studenti come pratica dissuasiva; e attribuisce le difficoltà economiche che vive da oltre un decennio il Paese, alle recenti sanzioni imposte dagli Stati Uniti a esponenti del Governo accusati di crimini di Lesa Umanità e traffico di droga, più che al Paese nel suo insieme, e grida al sabotaggio per nascondere l’incapacità di amministrare le aziende pubbliche e offrire ai venezuelani servizi fondamentali come acqua e luce, che in uno Stato efficiente e moderno sono, o dovrebbero essere, un diritto.

Mauro Bafile

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