Asia Bibi è in Canada, finito l’incubo per la cristiana

Asia Bibi in foto famigliare d'archivio
Asia Bibi in foto famigliare d'archivio EPA/BIBI FAMILY

ROMA. – Il calvario di Asia Bibi è finito: la cattolica pakistana la cui storia è stata seguita passo dopo passo dai media di tutto il mondo potrà ricominciare una nuova vita in Canada, dove è finalmente riuscita a raggiungere la propria famiglia. E dove ora spera di ritornare nell’anonimato di un’esistenza tranquilla, a migliaia di chilometri di distanza da dove dieci anni fa è iniziato l’incubo che le ha stravolto la vita.

Quel giorno del giugno 2009, nel villaggio pakistano di Ittan Wali, Asia non avrebbe mai immaginato che da un banale litigio con le sue vicine di casa musulmane – durante il quale secondo le sue accusatrici avrebbe offeso Maometto – sarebbe nata una tribolazione giudiziaria senza fine, una condanna all’impiccagione per blasfemia, una catena di morti e disordini che avrebbero scosso un intero Paese, una mobilitazione a livello planetario, dai capi di Stato all’Ue, fino al Vaticano.

Ora tutto questo sembra essersi concluso: dopo essere stata scagionata a ottobre scorso dall’accusa per la quale ha rischiato per otto anni di finire sul patibolo, Asia Bibi è stata fatta partire dal Pakistan. Per mesi era stata tenuta in un luogo segreto dalle autorità, in attesa che ci fossero le condizioni per farla uscire dal Paese in sicurezza, verso la destinazione già scelta dalle figlie, il Canada.

La sua assoluzione qualche mese fa, dopo una prima condanna a morte nel 2010, aveva fatto piombare il Pakistan nel caos. Tre giorni di proteste, manifestazioni e scioperi degli islamisti radicali, guidati dal movimento Tehreek-e-Labbaik, che del caso avevano fatto una questione di principio e avrebbero voluto vedere Asia con un cappio intorno al collo. Il governo aveva risposto con un giro di vite e decine di arresti.

Gli integralisti avevano quindi presentato un appello perché l’Alta Corte rivedesse la sentenza: richiesta rigettata a gennaio, quando è stato confermato il proscioglimento di Asia Bibi. Una vicenda emblematica, la sua, che testimonia quanto in Paesi come il Pakistan la religione sia un tema incendiario, per il quale è facile perdere la vita: il governatore del Punjab, Salman Taseer, è stato ucciso da una delle sue guardie del corpo nel gennaio del 2011 dopo che si era appellato pubblicamente al presidente del Pakistan perché concedesse la grazia alla donna.

Il suo assassino, festeggiato come un’eroe da parte dell’opinione pubblica, è stato a sua volta giustiziato nel 2016. Nel 2011, sempre per aver difeso e incontrato Asia Bibi in prigione, fu assassinato anche Shahbaz Bhatti, allora ministro per le minoranze religiose. Oggi il fratello Paul ha salutato la libertà finalmente raggiunta dalla cristiana pakistana come il coronamento del suo sacrificio.

Ma per una storia come quella di Asia che arriva sotto i riflettori e termina con un lieto fine, ce ne sono decine che restano sommerse: secondo la Conferenza episcopale pakistana, 220 cristiani si trovano nella stessa situazione in cui si trovava Bibi prima di essere assolta. Accusati spesso con pretesti che nascondono altre motivazioni – dall’odio religioso a dispute private, magari per questioni economiche – trascinati tra il carcere e le lungaggini giudiziarie, condannati a morte da innocenti.

(di Salvatore Lussu/ANSA)