Legami con lo schiavismo, Cambridge svela i suoi altarini

Cambridge: Vista del Quad of the Bodleian Library nell'Università di Oxford.
Vista del Quad of the Bodleian Library nell'Università di Oxford. EPA/ANDY RAIN

LONDRA. – “Il passato non può essere cambiato, ma non deve essere neppure nascosto”. Parte da questo principio, fatto proprio dal nuovo rettore, la decisione dell’università di Cambridge – gloria accademica inglese e internazionale fin dal Medioevo – di avviare un’inchiesta destinata a durare due anni per far luce sui legami storici con lo schiavismo britannico e sulle elargizioni ricevute nei secoli da personalità arricchitesi attraverso il traffico di esseri umani dalle ex colonie.

Un atto di riparazione ‘postuma’ che segue quello di varie istituzioni accademiche americane, da Princeton, a Georgetown, fino a Yale, che di recente ha cambiato nome a un edificio intitolato finora a John Calhoun, che fu vicepresidente e sostenitore entusiasta della schiavitù dei neri. Ma che nel Regno Unito conta un solo precedente, quella della University of Glasgow, in Scozia: capace di riconoscere, dopo un’indagine più breve, d’aver beneficiato in passato dell’equivalente di 200 milioni di sterline odierne grazie a munifici profittatori dello sfruttamento razziale; e di fare mea culpa finanziando ora un corso di studi sulla schiavitù e sulla “giustizia risarcitoria”.

L’inchiesta interna su Cambridge – luogo nel quale gli stessi studenti hanno sino ad oggi mostrato una sensibilità relativa sul tema, a differenza di quanto accaduto a Oxford dove giovani iscritti d’origine africana e asiatica sono insorti se non altro per la rimozione d’una statua dedicata a Cecil Rhodes, vorace protagonista dell’imperialismo britannico – sarà affidata a due ricercatori del Centre of African Studies: chiamati a scartabellare tra gli archivi per determinare l’ammontare di lasciti e altre donazioni di provenienza sospetta incassati nel corso del tempo, da persone legate al lucroso commercio di schiavi sulla rotta Atlantica, durante la lunga stagione coloniale di quello che fu l’impero britannico.

Ma pure per far la conta di studi e le ricerche condotte fra le severe mura dei college del celeberrimo ateneo che abbiano dato alimento a dottrine razziste. Eventuali riparazioni economiche verranno decise a rapporto ultimato, nel 2021. Cambridge non manca del resto delle risorse necessarie, essendo la sua dotazione attuale stimata in 1,7 miliardi di sterline (circa 2 miliardi di euro).

L’impegno in favore della trasparenza storica è conseguenza diretta dell’avvento nell’ottobre 2017 sulla poltrona di vice-chancellor (rettore) di Stephen Toope, studioso canadese dei diritti umani, già consulente dell’Onu e del governo di Ottawa, noto per aver contribuito in prima persona a rendere giustizia alle popolazioni native del Nord America.

“C’è una crescente consapevolezza accademica e dell’opinione pubblica”, ha spiegato Toop al Times, ed “è semplicemente giusto che Cambridge riveli i vantaggi tratti dai profitti sul lavoro schiavo durante una delle epoche buie della storia umana”. Damian Hinds, ministro dell’Istruzione nel governo Tory di Theresa May, s’è intanto affrettato a rivolgere il suo plauso. Anche se gli altarini di ‘Oxbridge’ – ossia di Cambridge e di Oxford, secondo il nomignolo affibbiato al binomio universitario più prestigioso ed elitario d’oltre Manica – non riguardano solo i secoli che furono. Come sottolinea chi oggi denuncia la perdurante penuria di studenti non bianchi e non benestanti che vi vengono ammessi. In barba alle ripetute promesse di una maggiore integrazione etnica e sociale, o della “nuova consapevolezza” di cui parla il professor Toope.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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