Londra snobba gli Usa e apre spiraglio a Huawei sul 5G

Un uomo camminando di fronte all'entrata di un negozio Huawei. hitech
Un uomo camminando di fronte all'entrata di un negozio Huawei. FOTO EPA/OLE SPATA

LONDRA. – Un mezzo schiaffo all’alleato americano, un mezzo inchino al dragone cinese. Il governo britannico è pronto ad aprire uno spiraglio alla partecipazione del colosso Huawei al progetto 5G nel Regno, a dispetto delle furiose pressioni contrarie di Washington e di alcune preoccupazioni in materia di sicurezza nazionale condivise da ministri e 007 di Londra.

L’anticipazione del Daily Telegraph, non smentita, arriva giusto all’indomani dell’annuncio in pompa magna della visita di Stato d’inizio giugno in riva al Tamigi del presidente degli Usa, Donald Trump. E di sicuro non ha il sapore d’uno zuccherino per l’uomo dal quale Theresa May – o il leader conservatore che le dovesse nel frattempo succedere – si aspetta una sponda in vista del dopo Brexit.

A rassicurare la Casa Bianca, e le voci critiche che già si levano pure dal fronte interno britannico, non basta del resto la precisazione che la luce verde sarà limitata alla fornitura di parti “non cruciali” del network per la raccolta dati: una restrizione destinata al massimo a ridimensionare la soddisfazione di Pechino. Tanto più che i giochi appaiono ben avviati, visto che la questione risulta essere stata ormai definita dalla May d’intesa con tutti i ministri che contano sul dossier: i rampanti titolari degli Esteri (Jeremy Hunt), della Difesa (Gavin Williamson) e dell’Interno (Sajid Javid).

Gli Usa, che a casa loro hanno tagliato fuori seccamente Huawei nel timore dichiarato di esporsi a potenziali forme di cyber-intrusioni cinesi, avrebbero preteso in effetti l’esclusione totale del gigante asiatico anche da parte degli alleati che aderiscono alla rete di cooperazione d’intelligence denominata ‘Five Eyes’ (Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda).

Ma il governo di Sua Maestà, dopo aver valutato le analisi sui fattori di rischio affidate nei mesi scorsi ai suoi 007 (sfociate in qualche allarme, seppure solo parziale), ha ritenuto evidentemente che il gioco di una rottura netta con Pechino – partner commerciale strategico e di prospettiva – non valesse la candela. Non su un affare di portata chiave al di là della Grande Muraglia, per interessi e sensibilità politica.

Nel Question Time del mercoledì, il vicepremier David Lidington, rispondendo a polemiche e perplessità evocate sia da alcuni veterani delle agenzie d’intelligence sia da qualche deputato dello stesso gruppo Tory, ha glissato rinviando un annuncio ufficiale al prossimo futuro. Ma non ha negato le indiscrezioni del media, limitandosi a notare come il problema “non riguardi una singola società” e come occorra garantire “una differenziazione” nelle forniture delle componenti del sistema 5G, in modo da evitare che l’isola dipenda in questo delicato settore da una sola azienda. O da un solo Paese.

Westminster non gradisce comunque di non essere stato finora consultato. E ad alzare la voce sono soprattutto esponenti conservatori: dal vecchio falco Julian Lewis, che liquida Huawei come una sorta di dependance tecnologica del “regime comunista cinese”; a figure emergenti assimilabili ai neocon Usa quali Bob Seely o Tom Tugendhat, neo presidente della commissione Esteri ai Comuni.

La legge cinese, sentenzia in particolare Tugendhat nell’argomentare le sue fortissime riserve, “impone a Huawei di cooperare con gli apparati di sicurezza” di uno Stato che “al meglio può essere descritto come non sempre amichevole”. Parole il cui suono è quello di un preludio di battaglia parlamentare ancora in grado di rimettere in ballo la decisione.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)