I piloti del Boeing 737 fecero tutto bene, ma non bastò

Il Ceo della compagnia aerea Ethiopian Ailines, Tewolde GebreMariam, sul luogo dell'incidente
Il Ceo della compagnia aerea Ethiopian Ailines, Tewolde GebreMariam, sul luogo dell'incidente in un'immagine postata sul profilo Twitter della stessa compagnia, 10 marzo 2019.

ROMA. – “Portalo su, portalo su!”, si gridava in cabina di pilotaggio pochi istanti prima dello schianto, ma non ci fu nulla da fare. I piloti rispettarono correttamente tutte le procedure di emergenza previste dalla Boeing: cercarono di spegnere il software anti-stallo, di riportare il muso all’insù con la cloche manuale, di spegnerlo di nuovo, ma malgrado ogni tentativo, l’aereo tornava in picchiata e solo sei minuti dopo il decollo da Addis Abeba si schiantò al suolo. Ciò che sembra mettere una pietra sopra l’ipotesi di errore umano nella tragedia del volo Ethiopian Airlines ET302 del 10 marzo, con i suoi 157 morti (8 italiani), è il rapporto preliminare stilato dagli esperti a Parigi sulle scatole nere di quel Boeing 737 Max 8.

“L’equipaggio ha seguito tutte le procedure stabilite dal costruttore, ma non è stato in grado di riprendere il controllo del velivolo”, ha sintetizzato ad Addis Abeba la ministra dei Trasporti etiopica, Dagmawit Moges, senza però precisare se siano state seguite “alla lettera”. Qualcosa infatti non torna, e lascia una sacca di buio nel punto in cui il malfunzionamento della macchina e l’errore umano si toccano.

Il rapporto, scrivono i media, non dà la colpa a niente e a nessuno in particolare, né nomina esplicitamente il software anti-stallo. Ma gli osservatori fanno notare come il documento sembri gettare l’ombra del dubbio sulle affermazioni fatte dalla Boeing e da alcune autorità statunitensi secondo cui i piloti avrebbero potuto disattivare in qualunque momento il software sospettato, il cui comportamento avrebbe reso l’incidente etiopico quasi una fotocopia dello schianto del 737 Max 8 dell’indonesiana Lion Air, in ottobre.

La Boeing, che dopo l’incidente in Etiopia ha dovuto mettere a terra l’intera flotta globale di 737 Max, ha assicurato in una nota seguita al rapporto che prenderà tutte le misure di sicurezza necessarie e ribadisce di prevedere un aggiornamento del programma di addestramento dei piloti e, soprattutto, del software anti-stallo, il Manoeuvering Characteristics Augmentation System (Mcas). Senza mai nominare l’Mcas, la ministra ha parlato di “ripetuto assetto con muso abbassato non comandato” e, sempre senza nominarlo, ha raccomandato che il costruttore riveda il suo software anti-stallo.

Il 737 Max, rispetto ai predecessori, ha due reattori con diametro più largo, per risparmiare carburante e aumentare l’efficienza delle ventole: una caratteristica che ha obbligato la Boeing a modificare i carrelli e la posizione dei reattori, e che imprime un’angolazione particolarmente ripida all’assetto dell’aereo al decollo. Per scongiurare il rischio che vada in stallo, cioè che le ali non riescano più a sostenerlo, l’Mcas, molto sensibile, se ritiene vi sia pericolo attiva una manovra di compensazione, agendo automaticamente sui piani di coda, e facendo di conseguenza abbassare il muso per riprendere portanza.

La Boeing assicura che il nuovo software sarà in grado di prevenire che dati sbagliati causino l’attivazione del sistema Mcas, di impedire che in futuro basti anche un solo sensore che segnali il rischio stallo per attivare la compensazione automatica. Un sensore-chiave, secondo le autorità etiopiche, che potrebbe non aver funzionato correttamente.

Una fonte ben informata sull’inchiesta tecnica, citata dall’Associated Press, ha detto che da quanto risulta dai dati registrati dalle scatole nere, i piloti inizialmente hanno seguito i passi indicati dalla Boeing, disattivando il software, il quale, per motivi non ancora chiari, è stato riattivato subito dopo. E lì resta ancora il buio.

(di Fabio Govoni/ANSA)