No a castrazione, ma la maggioranza si spacca ancora

Deputati del Movimento 5 stelle indossano una rosa rossa nel corso della discussione alla Camera sul decreto legge sulla violenza sulle donne. Castrazione
Deputati del Movimento 5 stelle indossano una rosa rossa nel corso della discussione alla Camera sul decreto legge sulla violenza sulle donne. Roma, 2 aprile 2019. ANSA/CLAUDIO PERI

ROMA. – E’ ancora la castrazione chimica per le persone condannate per stupro il nuovo pomo della discordia tra il Movimento 5 stelle e la Lega, sempre più divisi. La partita sembrava chiusa ieri, invece era solo rinviata. A nemmeno 24 ore dal ritiro dell’emendamento dei leghisti sulla castrazione – nell’esame del disegno di legge sul Codice rosso approvato in serata alla Camera con 380 voti favorevoli, nessun contrario e 92 astenuti – è proprio il partito di Matteo Salvini a rilanciare la palla in campo.

Lo fa votando sì a un ordine del giorno presentato da Fratelli d’Italia sulla castrazione chimica. Ma l’alleato di governo M5s vota no, e per di più insieme a Pd, Forza Italia e Liberi e uguali. Risultato, l’odg viene respinto e la maggioranza si spacca. Restano da un lato il Movimento, a ribadire il mantra “castrazione mai” (per rischio incostituzionalità e perché non è nel contratto di governo) e la Lega dall’altro, “sconcertata e dispiaciuta” per il voto contrario. Uno sconcerto che non va giù ai 5 Stelle che vogliono avere l’ultima parola: “Così come è stata presentata, la misura è una presa in giro verso le donne. Non colpisce gli stupratori”.

Insomma cambiano le questioni ma tra i gialloverdi la tensione resta alta. Stavolta il patto per restare uniti non ha retto nemmeno un giorno. Ieri era stato il ministro per la Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno, della Lega, ad annunciare il ritiro dell’emendamento: “In questa fase, non è condiviso dal M5S”. Tanto bastava per sacrificarlo alla priorità del momento: “far andare avanti il governo in maniera compatta” e votare il Codice rosso.

Il giorno dopo il ministro corregge: “Non è una stata una marcia indietro ma un differimento”. E ricorda che il tema rispunterà a breve in un ddl della Lega. Ma intanto è l’odg di Fdi a sparigliare. Nel documento si impegna il governo ad adottare iniziative (anche una legge) per introdurre la possibilità di concedere la sospensione condizionale della pena, in caso di condanna per reati sessuali, a chi si sottoponga alla castrazione farmacologica.

Il governo si era rimesso al voto dell’Aula e all’ora di pranzo, il colpo di scena: i favorevoli sono stati 126, 383 i contrari, un astenuto. Ma M5s e Lega non hanno votato dalla stessa parte. Subito dopo, partono anche le accuse incrociate tra le opposizioni. In particolare, Fdi urla “Nazareno, Nazareno!” ai deputati di Pd e FI che hanno votato insieme. “Comprendiamo che i forzisti ultimamente non abbiano molte cose di cui vantarsi, ma andar fieri di aver votato col Pd… Contenti voi”, ironizza il capogruppo di FdI Francesco Lollobrigida.

Ma il vero scontro è in casa gialloverde. E’ il capogruppo 5S alla Camera Francesco D’Uva a tagliare corto sulla castrazione. A chi gli chiede se ci sarà mai una legge ad hoc, il presidente dei deputati 5S risponde: “Onestamente no”. E argomenta: “Può aprirsi alle pene corporali, una cosa che ci spaventa tanto” e “non è nel contratto di governo”. Il Movimento quindi ribadisce la sua coerenza e infierisce tornando al voto dell’odg: “Se si è trattato di ‘verificare’ una maggioranza alternativa, il tentativo è fallito. Appare evidente che il centrodestra non esiste più”.

La Lega replica con il suo “sconcerto” e si limita a dire che la castrazione è “applicata in altri Paesi per limitare la violenza di pedofili e stupratori”. Ma l’alleato non si ferma e sposta i riflettori: “Per chi commette violenze contro una donna, deve esserci certezza della pena. È quello che ha fatto il ministro Bonafede alzando il minimo e il massimo delle pene”.

(di Michela Suglia/ANSA)

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