Il Senato “salva” Toninelli, ma ora la maggioranza è sul filo

I banchi del governo durante il voto di sfiducia al Senato contro il ministro Danilo Toninelli.
I banchi del governo durante il voto di sfiducia al Senato contro il ministro Danilo Toninelli.

ROMA. – A 24 ore dal “no” del Senato al processo a Matteo Salvini si completa il cerchio pericoloso del caso Diciotti con la bocciatura della doppia mozione di sfiducia nei confronti di Danilo Toninelli. Ma, se la battaglia è stata superata in qualche modo, la “guerra” dei numeri, da qui in avanti, a Palazzo Madama sarà un’ombra costante sui giallo-verdi. E, a subire il pressing delle cifre è in particolare il M5S: il gruppo dei dissidenti – ufficialmente tre -, se espulso, potrebbe far scendere la maggioranza a 162, ovvero ad una unità sul minimo necessario. Con un’appendice, altrettanto rischiosa per Luigi Di Maio: la necessità di un “soccorso” da destra, in particolare da Fdi.

Non a caso, in Aula, è Ignazio La Russa a metter in chiaro il potenziale problema per i giallo-verdi. “Ieri su Salvini le forze di governo non hanno raggiunto la maggioranza prescritta, proporrò la mozione di sfiducia all’intero governo”, attacca il senatore Fdi in Aula. E, sulla doppia mozione contro Toninelli, Fdi divide volontariamente il suo voto. Gli astenuti, sulla mozione del Pd, sono quindici e, con il nuovo regolamento, l’astensione in Aula abbassa di fatto il quorum.

Alla fine, il titolare del Mit mantiene il suo incarico con 159 ok nella prima mozione, 157 nella seconda. E l’atmosfera, a Palazzo Madama, non è certo festosa. Toninelli dipana la sua difesa (definendo un “dovere” ridiscutere la Tav e affermando la sua “coerenza”) attorniato solo da ministri del Movimento, ai quali si aggiunge per un’ora anche il premier Giuseppe Conte. Nessun ministro leghista siede, in quel frangente, tra i banchi del governo.

“Il voto è andato come doveva andare. Non c’è alcun valore politico nelle assenze”, taglia corto un Salvini descritto come “freddo” sulle beghe governative e concentrato sulla campagna in Basilicata. Ma qualche assenza qua e là tra i banchi della Lega, in occasione del voto sulla mozione di FI, non passa inosservata. Come non passa inosservato il fatto che, sui dissidenti M5s, i probiviri non avranno fretta di intervenire, magari lasciando invariati i numeri al Senato per non rischiare blitz anche nelle commissioni.

Anche perché, nel Movimento, la volontà al momento resta quella di cristallizzare il 20% assegnato dai sondaggi in vista del 26 maggio e in attesa di possibili sommovimenti post-Europee. Il timore, infatti, è che una debacle a fine maggio provochi da un lato la fuoriuscita di alcuni parlamentari e dall’altro l’aumento, questa volta non rinviabile, del pressing della Lega per un tagliando alla maggioranza.

La settimana prossima le Europarlamentarie dovrebbe peraltro entrare nel vivo con le prime votazioni online anche se, in queste ore, è Roma a preoccupare il Movimento, con le indagini a carico di Daniele Frongia, tra gli uomini più vicini (a differenza di Marcello De Vito) alla sindaca Virginia Raggi. E, rispetto a ieri, la reazione dei vertici è diversa: Frongia si autosospende ma, nel Movimento, tendono a circoscrivere la gravità del caso e a difendere, a microfoni accessi, la sindaca. Ma il contraccolpo sulle Europee, confida più di un parlamentare, rischia di esserci. La strada di Di Maio è più che mai in salita.

(di Michele Esposito/ANSA)

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