Bocciato il “No deal”, ma la Brexit è sempre più nel caos

Il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk e la primo ministro inglese Theresa May. No deal
Il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk e la primo ministro inglese Theresa May.. (Olivier Hoslet, Pool Photo via AP)

LONDRA. – Dopo lo strappo, il caos diventa totale. Il Parlamento britannico prova ad allontanare lo spettro di una traumatica Brexit no deal – all’indomani della seconda, sonora bocciatura dell’intesa di divorzio negoziato faticosamente dalla premier Theresa May con Bruxelles – votando a maggioranza una mozione emendata in modo radicale su cui il governo incassa un’altra sconfitta cocente e che tuttavia da sola potrebbe non bastare a cancellare l’incubo: in assenza della ratifica positiva di un qualunque accordo o almeno di un rinvio del passo d’addio rispetto alla data del 29 marzo.

Rinvio su cui l’aula si esprimerà domani, ma che l’Ue ammonisce di non essere disposta a concedere come una cambiale in bianco. La mozione approvata stasera con 321 voti contro 278 resta dunque al momento una manifestazione di volontà politica. Oltre che una sfida aperta all’esecutivo e il segno del tentativo di Westminster d’imporre una svolta con piani di Brexit diversi.

Una sfida a cui il governo reagisce annunciando una nuova mozione che dovrebbe spingere i deputati a scegliere fra il via libera a un accordo sulla Brexit entro mercoledì prossimo, seguito dalla richiesta all’Ue di un rinvio tecnico limitato al 30 giugno per l’approvazione della legislazione connessa, e quella di un rinvio a più lungo termine che obbligherebbe fra l’altro il Regno a partecipare alle elezioni europee di maggio.

Alla premier non è bastato lasciare libertà di scelta al suo governo e al suo partito sulla questione ‘no deal sì-no deal no’. Né limitarsi a esprimere a titolo personale la sua posizione contraria in linea di principio all’epilogo più brusco. La situazione le è sfuggita di mano in seguito all’approvazione di un emendamento promosso trasversalmente da deputati Tory moderati e laburisti per forzarle la mano ed escludere un divorzio hard in alcuna circostanza e in qualsiasi momento.

Emendamento non sostenibile per l’esecutivo di fronte all’Ue, tenuto conto che il ‘no deal’ – come May ha ribadito subito dopo il voto – resta un esito di default in mancanza di un accordo di divorzio ratificato o di un rinvio. Di qui il braccio di ferro, destinato ora a riflettersi nella partita di domani sui termini, le condizioni e la durata del rinvio. Il risultato, in ogni modo, è che si è tornati alla casella uno. Con la necessità d’indicare una soluzione possibile sullo sfondo del muro contro muro fra la premier e gli oppositori.

Il leader laburista Jeremy Corbyn ha invocato da parte sua il passaggio del “controllo al Parlamento”. Ma May resta orientata come se nulla fosse a riproporre la sua linea come unica base d’intesa, escludendo non solo un ipotetico referendum bis o una revoca dell’articolo 50 che “sarebbe un tradimento della volontà popolare” espressa nel 2016, ma anche un dialogo sul piano B corbyniano per una Brexit più soft con permanenza del Regno nell’unione doganale o su altre alternative.

Alternative in mancanza delle quali – come ripete solennemente dall’Europarlamento il capo negoziatore europeo Michel Barnier – quel no deal buttato fuori oggi dalla porta della Camera dei Comuni non potrà che rientrare dalla finestra. E rischia anzi di essere “più vicino che mai”. Tanto vicino da indurre Paesi e istituzioni dell’intero continente ad allacciarsi le cinture.

L’assemblea di Strasburgo squaderna una piano d’emergenza che punta a mettere al riparo prima di tutto gli studenti in Erasmus, i trasporti aerei, stradali e ferroviari, la pesca, le tutele sociali. O almeno a minimizzare i danni potenziali. Mentre il governo italiano fa sapere di seguire gli sviluppi giorno per giorno e di essere al lavoro per predisporre nuove misure nel caso di una Brexit hard: scenario al centro anche del tradizionale pranzo di lavoro al Quirinale in vista del prossimo Consiglio europeo.

Fra gli Stati più esposti e più allarmati spiccano l’Irlanda e la Germania. Anche se il contraccolpo più pericoloso (descritto come una potenziale “martellata sull’economia” dalla Confindustria del Regno) continua a incombere ovviamente sulla Gran Bretagna medesima. Tanto spaventata – alle luce anche della clamorosa revisione al ribasso da parte del cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond delle stime di crescita del Pil per il 2019 dal 1,6 all’1,4% – da annunciare fin d’ora unilateralmente un regime senza dazi su oltre l’80% dei prodotti importati dall’Ue (e dal resto del mondo) anche nell’eventualità del no deal. Sperando che la misura possa essere reciproca e che possa bastare, se non altro, a limitare i guai.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

 

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