NEW YORK – Luminosa. È la prima parola che ci viene in mente quando incontriamo a New York Dacia Maraini. Il tempo non ha cambiato il suo sguardo chiaro, che scruta senza animo di critica, il sorriso che ti fa sentire immediatamente a tuo agio. È la stessa sensazione che sentimmo anni e anni fa quando venne a Caracas e, invitata da un’amica comune, la cineasta e fotografa Franca Donda, partecipò ad una riunione del nostro collettivo femminista. La accompagnava un’altra donna straordinaria, Piera degli Esposti, che presentava a Caracas una sua commedia. Erano gli anni in cui si sognava insieme, le barriere non esistevano e un mondo diverso appariva possibile. Anni in cui le donne riuscirono a strappare molte conquiste con caparbietà e fermezza. Oggi molti di quei diritti, che sembravano acquisiti per sempre e che richiesero una buona dose di sacrifici, sono fortemente a rischio. Il dilagare di governi populisti e reazionari mette in forse battaglie storiche come quella dell’aborto.
Dacia Maraini è stata una delle donne che più si è battuta per la parità di genere. I suoi libri sono stati un faro, ieri, per un’intera generazione di donne che in quelle pagine trovava la forza per lottare contro le discriminazioni ed esigere rispetto. Continuano ad esserlo oggi per molte giovani in Italia e all’estero. La prima domanda sorge inevitabile.
– In un’occasione hai detto che non si può più parlare di femminismo, che tu stessa preferisci dire che sei dalla parte delle donne piuttosto che definirti femminista. Perché? Cos’è cambiato?
– Il femminismo è legato a un’epoca, a un’ideologia, a un’utopia che non esistono più. Il femminismo è un fatto storico molto preciso, un po’ come il ’68. Per me è stato importantissimo e credo che sia stata la più grande rivoluzione pacifica, almeno in Italia. In quell’epoca ci univa un progetto comune. Le donne che scendevano in strada con grande entusiasmo facevano rete. Ora quell’utopia è scomparsa. Ciò non significa che le donne abbiano smesso di riunirsi e di lottare. Sono ancora tanti i progetti che portano avanti. In Italia abbiamo Telefono Rosa, si organizzano gruppi di studio, seminari, incontri. Fino a poco tempo fa ha operato a Roma la Casa delle donne, uno dei punti di riferimento più importanti per tutte noi. Purtroppo quel luogo storico, in cui si conserva un archivio di documenti e fotografie di estrema importanza, nel quale durante anni hanno trovato aiuto e accoglienza le donne vittime di violenza e in cui sono stati realizzati progetti di grande spessore, è stato chiuso dalla prima sindaca di Roma con il pretesto che ha debiti con il Comune. Debiti che hanno molte altre istituzioni. Sembra incredibile, ma è stata una donna a decretare la morte della Casa delle donne.
– A volte si ha la percezione che le donne più giovani diano per scontati alcuni diritti per i quali la generazione precedente ha dovuto lottare duramente. E non si rendono conto che potrebbero perderli.
– Una cosa molto importante sarebbe far sapere come sono stati conquistati questi diritti. Molti non sanno che dietro a quei diritti ci sono anni e anni di lotte. Comincerei dunque con la conoscenza della storia per far capire alle nuove generazioni che i diritti si conquistano ma che si possono anche perdere. Il rischio è dietro l’angolo. Già si stanno elaborando leggi che tendono a eliminare i centri per le donne, che sono contro l’aborto e a favore della famiglia tradizionale. Bisognerebbe essere più agguerriti ma purtroppo non è un buon momento per queste battaglie. C’è molta paura, ognuno sta per conto suo, si è diluito quel senso comunitario dei diritti civili da difendere. Ci sono tante donne che fanno gruppo ma tutte insieme non fanno rete.
– C’è un altro fenomeno che appare difficile da capire. Le donne, i giovani, gli emarginati, spesso votano per candidati che sono apertamente contrari ai loro diritti. È successo qui, negli Stati Uniti, in Brasile dove molte donne e molti giovani si sono schierati dalla parte di un Presidente apertamente e volgarmente maschilista e razzista, in Italia e in altri paesi europei. Cosa sta accadendo?
– È un mistero. Ma è anche una storia che si ripete perché è già successo con il nazismo e con il fascismo. Che i ricchi e i potenti votino per un qualcuno che difende i loro privilegi è comprensibile, ma ha dell’incredibile il fatto che le donne, gli omosessuali, i poveri, gli esclusi, le persone che hanno bisogno di assistenza e di servizi, votino in favore di una persona che è contro i loro interessi. C’è qualcosa di abnorme, di mostruoso che avviene nella società. Sembrerebbe che le persone siano vittime di una manipolazione che, attraverso i media, le reti sociali, spegne la reattività verso le ingiustizie, gonfia le paure e individua un nemico comune. Ieri sono stati gli ebrei, i comunisti, oggi sono gli stranieri. Ecco dunque che si parla di muri, di chiusura delle frontiere, si elaborano leggi contro l’emigrazione. È un falso problema ma la gente è emotivamente presa.
– Sarà anche il sintomo di un calo di cultura e di preparazione?
– Sì, ma secondo me c’è proprio un elemento di irrazionalità.
– Purtroppo il linguaggio con il quale si esprime una certa politica è così violento e volgare che permette alle persone di esternare senza vergogna la parte peggiore di sé. Rabbie e frustrazioni si traducono in violenza e troppo spesso in violenza di genere. È agghiacciante il numero delle donne maltrattate, violentate e uccise in ogni angolo del mondo. Credi che il movimento Me Too possa aiutare a ricostruire una rete e un progetto comune?
– Senza dubbio è un inizio importante. Dovrebbe allargarsi maggiormente, uscire dal mondo del cinema dove è nato e coinvolgere le professioniste, le donne che lavorano nelle imprese, nelle fabbriche, nell’amministrazione pubblica. Perché, si sa, chi ha il potere ne approfitta per fare ricatti ed abusarne. In tutti i campi. Me Too può crescere se le denunce diventano tante, se saranno sempre di più quelle che perderanno la paura, la vergogna e troveranno il coraggio di parlare.
Dacia Maraini è venuta negli States, come fa ormai ogni anno, invitata dalle Università più prestigiose del paese a partecipare a dibattiti e a dare lezioni magistrali. In quest’occasione è arrivata anche con la versione in inglese e in italiano di un libro che ripercorre le tappe dei suoi viaggi in questo paese. “Taccuino Americano (1964-2016)” a cura di Michelangelo La Luna, raccoglie articoli e pagine di diario scritti nel corso degli anni al rientro dai suoi viaggi negli Stati Uniti. È un libro importante che ci offre uno spaccato della società e della politica nordamericana. Un libro onesto, animato da una gran voglia di capire e che non concede spazio a preconcetti e banalità. Racconta i momenti salienti della storia del paese attraverso la voce di personaggi di primo piano come Kathleen Neal Clever, portavoce e prima donna a far parte del direttivo del Black Panter Party alla fine degli anni ’60, lo scrittore Norman Mailer, Mark Rudd leader del movimento Students for a Democratic Society (SDS), la gente comune che commenta per lei la missione sulla Luna. Maraini parla delle lotte delle donne, della violenza di cui sono vittime, dei modelli che le incastrano, analizza il problema della povertà, la minaccia della guerra, il valore delle Università, il cambiamento impresso nella società dall’attacco terroristico alle Torri Gemelle e il pericolo che un singolo, tragico avvenimento, si trasformi in una guerra santa, le battaglie dei gay e l’ascesa di Obama. Un viaggio lungo, intenso, durato più di cinquant’anni.
– Leggere questo libro è come fare un viaggio nella storia. Ed è sconfortante notare come siano ancora attuali i problemi contro i quali si lottava negli anni ’60, ’70, ’80. Il razzismo, per esempio, che sembrava superato, è riemerso in tutta la sua brutalità.
– Il primo dei razzismi è proprio quello contro le donne. È un razzismo che sta crescendo in tutto il mondo e che colpisce soprattutto le donne povere, le emigrate, quelle che hanno una condizione di vita difficile.
– In questo nuovo viaggio, qual è stata la tua impressione arrivando a New York?
– Mi sembra che ci sia un degrado crescente. Vengo praticamente tutti gli anni e questa volta ho percepito un peggioramento. Ho visto molti homeless, persone che dormono in strada, gente povera che chiede l’elemosina. Non è un buon segno ma purtroppo tutto il mondo sembra andare verso una stessa direzione. La distanza tra ricchi e poveri si sta allargando e sembra che la politica stia favorendo i primi. Il risultato è che i poveri diventano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. È una cosa preoccupante e contraria alla democrazia ma è una tendenza mondiale dettata forse dalle paure, paure inconsce, sotterranee, dovute prima alla crisi economica e poi al movimento dei popoli. Non è un caso che Trump voglia costruire un muro anche se tutti sappiamo che i muri non sono mai serviti a nulla.
– In alcuni brani del libro parli della tragedia delle guerre. Esiste oggi il pericolo di una terza guerra mondiale?
– Sì e non mi stanco di ripeterlo. Le guerre nascono così, con le chiusure, con le inimicizie, con le violenze, individuando nell’altro il nemico. Purtroppo i giovani non conoscono la storia ed è molto complicato far capire a chi non ha vissuto quegli anni, quanto può essere facile scivolare in un conflitto che, come tutte le guerre, si tradurrebbe in una catastrofe umanitaria.
– Poche donne hanno avuto la capacità di usare come te la parola per imprimere forza, solidarietà, conforto. Le parole avevano un vissuto, erano frutto di riflessione e la loro eco arrivava con forza, ci cambiava dentro. Oggi si ha la sensazione che le parole vengano gettate via, senza rispetto alcuno, inondano le reti sociali, si intrecciano, si accavallano. Sembrerebbe che spessore e profondità siano stati sacrificati sull’altare dell’immediatezza. Significa questo che la forza della parola sta sbiadendo e che potrebbe scomparire?
– In parte sì e in parte no. Da una parte riscontriamo la tendenza a seguire il linguaggio semplificato della tecnologia che non ragiona, che non parla di idee ma mette bandiere, crea appartenenze e utilizza insulti. Chi prima si vergognava della sua mentalità violenta e reazionaria ora si sente autorizzato a manifestarla apertamente grazie al cattivo esempio che dà la classe dirigente. Si sente in diritto di blaterare, odiare, denigrare. Cresce, però, anche l’indignazione verso questi atteggiamenti e modi di esprimersi e si riscontra una richiesta crescente di diritti civili anche tra i giovani e i giovanissimi. È una rete importante che vuole una società in cui siano rispettate le libertà delle donne, degli omosessuali, degli emigrati e in genere delle idee.
– Molti di loro sono scesi in piazza a Milano per protestare contro il razzismo. E molti hanno partecipato alle primarie del PD. Significa che possiamo sperare in un cambio di rotta?
– C’è tanta gente che è sconfortata e non è d’accordo con la politica del governo attuale. Tante persone sono a favore di un’Europa unita, quell’Europa che ci ha dato settant’anni di pace, che ha messo in moto iniziative come l’Erasmus utilissime per i giovani. È antistorico pensare di poter tornare all’idea del paesetto, con una moneta propria e un’economia chiusa. Ormai tutto avviene in maniera globalizzata. Purtroppo chi rema contro l’Europa fa perno sulle paure e sulle emozioni. Spero che lo capiscano e trovino dei compromessi, e spero che lo facciano prima che scoppi una guerra, perché il pericolo esiste. Dopo direbbero: abbiamo sbagliato. Ma sarebbe troppo tardi. Comunque penso che alla fine il buon senso prenderà il sopravvento.
Resteremmo a parlare ore con Dacia Maraini. La preoccupazione per la realtà che stiamo vivendo ha spinto il nostro dialogo verso temi di attualità che la scrittrice analizza con sguardo lucido e sereno. Restano dentro di noi altre domande, sulla sua scrittura, sulla creatività, sui suoi libri che hanno varcato confini e sono diventati bestseller in tutto il mondo. Vorremmo scoprire come nascono le sue trame e i suoi personaggi, chiederle quali storie non ha mai raccontato e perché. Sì, vorremmo parlare ancora di tante cose. Ma avremmo bisogno di molto più tempo e di uno spazio ben più ampio di quello che permette un’intervista. Ci consola la consapevolezza che il dialogo con uno scrittore non finisce mai. Le parole che inondano le pagine dei suoi libri, costruiscono fili segreti sui quali viaggia una complicità che solo si stabilisce tra chi scrive e chi legge.
Mariza Bafile (Redazione New York)