Lavoro: fughe cervelli triplicate, molti sovraistruiti

Cervelli in fuga all'estero.
Cervelli in fuga all'estero.

ROMA. – Più persone a lavoro ma a caro prezzo. Ormai il numero degli occupati ha oltrepassato i livelli pre-crisi, ma non è così per le ore lavorate. Tra il 2008 e il 2018 se ne sono perse 1,8 milioni, equivalenti a un milione di posizioni full time. Intanto si arriva sul mercato del lavoro sempre più istruiti: uno su quattro ha in tasca un titolo superiore a quello richiesto.

Forti di una laurea o, soprattutto, di un dottorato, si finisce per emigrare, tanto che gli espatri sono triplicati in meno di dieci anni. Resta uno spazio per gli impieghi meno qualificati. Spazio spesso colmato dagli immigrati, “più disposti ad accettare lavori disagiati”.

A tirare le somme delle trasformazioni che hanno attraversato il mercato del lavoro è il Rapporto congiunto ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. Una panoramica a 360 gradi che certifica come la ripresa occupazionale, ancora viva nel quarto trimestre del 2018 (+0,1%), sia “a bassa intensità lavorativa”.

In altre parole siamo a un massimo storico, con oltre 23 milioni di persone a lavoro, ma adesso chi ha un impiego spesso lo ha ‘dimezzato’, visto che dalla crisi si contano 1,5 milioni di part time involontari in più, con relative conseguenze in termini di stipendio. Dal rapporto emerge poi uno scollamento tra mondo del lavoro e quello della formazione. Se 5,7 milioni sono i sovraistruiti, non mancano i sottoistruiti (che spesso coincidono con i meno giovani). Il mismatch tra domanda e offerta riguarderebbe addirittura più di un’assunzione su due.

“La mancanza di opportunità lavorative”, per utilizzare le parole del Rapporto, “può comportare la decisione di migrare all’estero” (nel 2017 è stato così per 115 mila persone). E spesso a fare la valigia è chi ha il più alto grado di istruzione, il dottorato. D’altra parte in Europa la ripresa dell’occupazione è stata più decisa, per allinearci al nocciolo duro dell’eurozona mancano 3,8 milioni di posti.

A soffrire di più sono i giovani, che agguantano il primo impiego a 22 anni ma in circa la metà dei casi non lo mantengono. Il tempo determinato è il contratto più diffuso all’inizio e il più delle volte con una formula mini (non oltre i sei mesi). Ma attenzione a introdurre troppi paletti, avverte il direttore del centro studi di Confindustria, Andrea Montanino, che vede nel decreto dignità un “intervento sbagliato nel momento sbagliato”.

Il responsabile del servizio struttura economica della Banca d’Italia, Paolo Sestito, mette in guardia circa il fenomeno della sovraistruzione: “il messaggio non è che in Italia si studia troppo, è vero il contrario”, soprattutto se si fa il confronto con i competitor internazionali. Di sicuro, è la conclusione che trae la vicepresidente del Cnel, Gianna Fracassi, dal Rapporto esce un’Italia “impoverita”.

Luci e ombre, insomma. Ma dove è scuro si fa sempre più scuro. Il direttore della produzione statistica dell’Istat, Roberto Monducci, parla di divari “più ampi”, anche “tra le diverse aree del Paese”, con il Sud ancora sotto i livelli pre-crisi.

(di Marianna Berti/ANSA)

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