Il governo punta a evitare la manovra bis. Attesa per Fitch

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte (C), con il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio (S) e il ministro dell'Economia, Giovanni Tria. Bloomberg
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte (C), con il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio (S) e il ministro dell'Economia, Giovanni Tria. ANSA/ETTORE FERRARI

ROMA. – La manovra bis non si farà. Negare la necessità di una correzione dei conti è ormai diventata un mantra nel governo, quasi uno ‘scudo’ protettivo contro le cattive notizie in arrivo: dall’ombra del downgrade di Fitch in serata, che in molti contano non ci sarà, all’annunciata bacchettata di Bruxelles sulla legge di Bilancio, ai conti dell’Istat sul 2018, che certificheranno definitivamente la recessione tecnica, entrambi la prossima settimana.

Ma è proprio allo scenario di una correzione dei conti, confermano nella maggioranza, che il governo si sta preparando: una correzione di circa 8 miliardi potrebbe essere inevitabile, spostarla a dopo le europee è per M5s e Lega vitale. Nessuno più nega che la situazione dell’economia sia ben peggiore di quanto anche solo immaginato pochi mesi fa. Ma la causa principale, affermano dal governo, va ricercata nel rallentamento globale ed europeo in particolare, di cui l’Italia rappresenta però il fanalino di coda.

La soluzione per Roma, però, si ostina a ripetere il ministro dell’Economia Giovanni Tria, non può essere la rigida applicazione delle regole europee del fiscal compact, approvate “in fretta” in piena crisi ormai quasi dieci anni fa: la richiesta di tenere strettamente sotto certi parametri i conti può funzionare bene durante periodi di crescita ma, è il ragionamento del ministro, quando si registra una contrazione, soprattutto se repentina e acuta come quella che si sta palesando in questi mesi, servono risposte diverse.

L’architettura attuale invece “impedisce aggiustamenti discrezionali delle politiche finendo con l’agire in direzione prociclica se non strutturalmente deflattiva”. Questo non significa, precisa il titolare di via XX settembre nella prolusione per l’apertura dell’anno accademico di Tor Vergata, la sua vecchia università, che non ci debbano essere regole, ma non devono essere i “tecnicismi” a dettare legge.

L’andamento del ciclo sarà uno degli argomenti che Roma metterà sul tavolo per respingere eventuali richieste di rivedere i conti: il parametro per il rispetto delle regole infatti è il deficit strutturale che non è intaccato direttamente da un peggioramento del Pil, visto che si calcola ‘al netto della congiuntura’.

L’allarme rosso scatterà però se a peggiorare sarà anche il Pil potenziale, cioè il massimo che si potrebbe ottenere grazie anche alle politiche messe in campo dal governo. In quel caso – e si inizierà a capire già dai country report di Bruxelles, mercoledì prossimo – una correzione diventerebbe, almeno da un punto di vista tecnico, inevitabile e si potrebbe aggirare sugli 8 miliardi.

In cascina infatti l’esecutivo, come ricorda il sottosegretario M5S Stefano Buffagni respingendo ipotesi di manovra bis evocate da colleghi come Giancarlo Giorgetti, ha i due miliardi accantonati a dicembre con la legge di Bilancio che si potrebbero automaticamente trasformare in tagli già a luglio. Reperire altre risorse fresche per 6 miliardi certo non sarebbe poi semplicissimo, anche se il timore maggiore resta quello della manovra d’autunno, che già parte zavorrata da 23 miliardi di aumenti Iva da sterilizzare.

Potrebbe essere quella l’occasione buona per mettere finalmente mano alle tax expenditures: un ritocco degli sconti, però, per la Lega non può che essere legato al taglio delle tasse. Per le opposizioni, invece, un intervento non solo è già nei fatti ma “è pronto” per dopo le europee e “ci metteranno le mani in tasca”, dice Matteo Renzi, mentre Silvio Berlusconi, paventando la patrimoniale, fa salire il conto tra i “7 e i 15 miliardi”.

(di Silvia Gasparetto/ANSA)

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