Salvini scarica il caso Corea del Nord: “E’ un problema del ministero degli Esteri”

Bandiera della Corea del Nord.
Bandiera della Corea del Nord. EPA/ALEXANDER BECHER

ROMA. – Il rientro in Corea del Nord della figlia del diplomatico dissidente non è affare del ministero dell’Interno, ma degli Esteri. Matteo Salvini ha liquidato così la richiesta del Movimento 5 Stelle e dell’opposizione di riferire in Parlamento sul caso, dopo le voci di una possibile operazione segreta degli uomini di Kim Jong-un in Italia. La Farnesina, tuttavia, ha già spiegato di essere stata avvisata dai coreani di un rimpatrio volontario, a cose fatte.

La presa di distanze del leader leghista può anche aprire un altro fronte nel governo, perché suona anche come una replica polemica al sottosegretario agli Esteri pentastellato Manlio Di Stefano, che per primo aveva evocato il caso Shalabayeva: il rimpatrio forzato della moglie di un dissidente kazako che aveva fatto finire il Viminale nella graticola, ai tempi di Alfano.

Di certo, del dossier nordcoreano, c’è soltanto che la figlia di Jo Song-Gil, ex diplomatico di stanza a Roma, sia tornata in patria a novembre senza i genitori, che avevano disertato pochi giorni prima. Resta da chiarire il come e il perché. Per la Corea del Nord non c’è nessun caso: la ragazza sarebbe rientrata di sua volontà per stare con i nonni. Al contrario, un altro dissidente di primo piano del regime ha affermato che è stata portata via in un blitz, come rappresaglia per il tradimento del padre.

L’eventualità che agenti stranieri siano entrati e usciti di nascosto da un’ambasciata sensibile sul suolo italiano, senza un’adeguata sorveglianza, ha messo in allarme il Parlamento, a partire da 5Stelle, che hanno chiesto al titolare del Viminale di chiarire in Aula. Agitando le acque nella maggioranza.

Ma Salvini in Aula non ci andrà. “Chiedetelo al ministero degli Esteri, è una questione di ambasciate. Io non ne sapevo nulla, non c’entro nulla”, ha detto il ministro dell’Interno a Radio Anch’io, prendendo per buona la versione del rientro volontario della figlia di Jo, comunicata ufficialmente da Pyongyang alla Farnesina. In tali circostanze, secondo Salvini, il Viminale non ha nulla a che fare con una “ragazza che è voluta tornare dai nonni nel suo paese, ha preso un aereo di linea arrivando, tranquillamente in aeroporto, superando i controlli di polizia e facendo il check in senza dire nulla”.

Anche la Farnesina, di fatto, ha lasciato intendere di non avere avuto un ruolo. Lo si capisce leggendo la nota in cui il ministero degli Esteri ha semplicemente dato conto delle comunicazioni ricevute dalle autorità nordcoreane. La prima, il 20 novembre 2018, sull’avvicendamento al vertice dell’ambasciata di Roma, dieci giorni dopo la diserzione di Jo Song Gil con la moglie. La seconda, il 5 dicembre, per segnalare che la figlia del diplomatico aveva chiesto di rientrare nel suo paese dai suoi nonni. Un rientro avvenuto il 14 novembre, quindi 20 giorni prima che la Farnesina venisse informata.

Resta il fatto che i punti oscuri in questa storia sono tanti. La ragazza, ad esempio, sarebbe stata vista a Fiumicino, accompagnata (o scortata?) da personale femminile dell’ambasciata coreana. Ma ammesso che abbia deciso di partire volontariamente, non si comprende il perché, considerato il rischio di essere punita dal regime per le colpe del padre.

Dello stesso diplomatico disertore non ci sono tracce: forse è ancora protetto in Italia, forse è all’estero, in attesa di ottenere asilo politico, magari negli Usa. E se così fosse, cosa lo avrebbe spinto ad abbandonare la figlia? Le risposte a questi interrogativi potrebbero arrivare, prima o poi. Ma al momento il rimpallo di responsabilità nel governo su quanto è successo non lascia prevedere tempi rapidi.

(di Luca Mirone/ANSA)

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