Trump vuole cacciare il capo dell’intelligence. “Non è leale”

Il presidente Usa, Donald Trump, Commander in chief.
Il presidente Usa, Donald Trump, Commander in chief. (SAUL LOEB/AFP/Getty Images)

WASHINGTON. – “Non è leale, non è nella squadra”: Donald Trump sembra intenzionato a far fuori anche Daniel Coats, che lui stesso ha nominato due anni fa direttore della National Intelligence, ossia capo di tutti gli 007 americani, che ogni mattina prepara il briefing per il presidente.

Un siluramento non imminente ma, secondo le indiscrezioni raccolte dai media americani, Coats avrebbe comunque i giorni contati dopo i vari scontri pubblici col tycoon: dal suo controverso incontro con Vladimir Putin a Helsinki, sino alla recente audizione al Congresso, dove ha sconfessato la linea del presidente su Isis, Russia, Iran e Corea del nord, alla vigilia del secondo summit con Kim Jong-Un.

La notizia arriva poco prima della rivelazione bomba della Cnn secondo cui la prossima settimana il nuovo ministro della giustizia William Barr annuncerà la fine dell’inchiesta sul Russiagate e successivamente ne informerà il Congresso, anche se non è ancora chiaro in che termini. Un evento che rischia di segnare, in un modo o nell’altro, la presidenza Trump.

Intanto l’ex capo dell’Fbi Andrew McCabe attacca il presidente definendolo “un possibile asset russo” e sostenendo di essere stato licenziato prima del pensionamento per aver aperto l’inchiesta sfociata poi proprio nel Russiagate.

Ma la vera bufera che sta investendo in queste ore l’inquilino della Casa Bianca è stata scatenata da un articolo del New York Times in cui si racconta che lo scorso anno Trump fece pressioni sul ministro della giustizia ad interim Matthew Whitaker per pilotare le indagini sul suo ex avvocato Michael Cohen, poi reo confesso e condannato a tre anni per aver comprato alla vigilia delle presidenziali il silenzio di due ex presunti amanti del tycoon: la pornostar Stormy Daniels e l’ex coniglietta di Playboy Karen McDougal.

Trump avrebbe chiesto a Whitaker se poteva affidare le indagini a Geoffry S. Berman, procuratore per il distretto sud di New York e vicino al tycoon (fece parte anche del suo transition team), benché si fosse già ricusato dall’inchiesta. Non risulta che Whitaker sia intervenuto, ma ora sono al vaglio le sue dichiarazioni al Congresso, dove ha negato di aver ricevuto richieste dal presidente.

Se l’episodio fosse vero, potrebbe configurarsi come un abuso di potere, se non un tentativo di ostacolare la giustizia: un reato da impeachment. Trump ha reagito su Twitter, accusando il New York Times di aver riportato una notizia “falsa” e di essere “un vero nemico del popolo”. Un momento turbolento per l’insediamento dei nuovi vertici del ministero della giustizia: William Barr e il suo vice Jeffrey Rosen, che subentrerà a Rod Rosenstein, anche lui da tempo nel mirino di Trump.

Nel frattempo gli 007 restano col fiato sospeso per il destino di Coats, un ex ambasciatore ed ex senatore repubblicano che non ha mai nascosto le sue divergenze col presidente. Se silurato, il suo nome allungherebbe una lista che comprende l’ex capo dell’Fbi James Comey, il suo successore McCabe e il ministro della giustizia Jeff Sessions, tutti in qualche modo legati alle indagini sulle interferenze russe nelle elezioni.

Ma la pretesa di lealtà dai dirigenti dell’apparato investigativo e di intelligence e i presunti sforzi per sbarazzarsi di coloro che percepisce come una minaccia, insieme ai ripetuti attacchi al Russiagate (1.200, secondo il Nyt), potrebbero mettere nei guai il presidente, alimentando i sospetti di collusione con Mosca e di ostruzione della giustizia.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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