Genitori di Renzi: coop nate e morte, così guadagnavano

Il padre dell'ex premier Matteo Renzi, Tiziano, passeggia vicino alla Galleria Colonna a Roma.
Il padre dell'ex premier Matteo Renzi, Tiziano, passeggia vicino alla Galleria Colonna a Roma. ANSA/GIUSEPPE LAMI

FIRENZE. – Sono ancora increduli, a distanza di 24 ore dalla visita degli uomini della guardia di finanza, Tiziano Renzi e Laura Bovoli, i genitori dell’ex premier Matteo, ai domiciliari con l’accusa di bancarotta fraudolenta e false fatturazioni insieme all’imprenditore ligure Mariano Massone.

L’attesa ora è per l’interrogatorio di garanzia, che verrà fissato probabilmente nella giornata di domani e si terrà, secondo il difensore della coppia, l’avvocato Federico Bagattini, tra venerdì e martedì della prossima settimana. Da capire se Tiziano davanti al gip risponderà alle domande o preferirà rimandare a un secondo momento. Per ora, dopo aver letto le carte, “ma non tutte”, a parlare è proprio Bagattini, che parla “di una misura mai vista prima”, ed è pronto a chiederne la revoca.

L’inchiesta, coordinata dal procuratore capo Giuseppe Creazzo e dall’aggiunto Luca Turco, avrebbe scoperchiato un modus operandi usato dai Renzi per far sì che la loro società, la ‘Eventi6’, che dal 2014 ha visto crescere il volume d’affari da uno a 7 milioni di euro, potesse negli anni operare avendo sempre a disposizione la manodopera necessaria senza gravarsi di oneri previdenziali ed erariali.

Oneri che invece finivano tutti nelle cooperative da loro create, spesso grazie a soci che non sapevano neppure di esserlo (“hanno riferito di non conoscere neppure il nome della società cooperativa, ricordando solo di essersi recati da un notaio di Firenze per ‘apporre delle firme’, tanto da potersi ritenere che la cooperativa sia stata costituita per volontà di altri”, scrive il giudice), i cui amministratori di fatto, dicono gli inquirenti nella richiesta al gip, erano sempre Tiziano Renzi e Laura Bovoli.

Gli stessi che poi, sempre per l’accusa, gestivano l’abbandono quando le cooperative raggiungevano uno stato di difficoltà economica ed erano sature di debiti. Finì così la vita della ‘Delivery service’, la prima delle tre cooperative finita sotto il mirino della procura, quella dalla quale ha preso poi il via l’inchiesta.

A chiederne il fallimento furono alcuni dipendenti quando il controllo era passato a Massone, da tempo in affari con Tiziano Renzi, e che già aveva acquisito, nel 2010, la Chil post, la vecchia società della famiglia Renzi, fallita poi 3 anni più tardi. Massone, in primo grado è stato condannato a Genova a 2 anni e 2 mesi. Quando ieri è stato raggiunto dai finanzieri a Campi Ligure, in provincia di Genova, era in prova ai servizi sociali, dopo un’altra condanna. Dopo la ‘Delivery’ a nascere e fallire nel giro di pochi anni fu l”Europe Service’ e, ultima, e ora avviata verso la stessa fine anche la ‘Marmovid’. Per questa il fallimento è stato chiesto dal pm Turco, ma ancora il giudice fallimentare non ha analizzato il fascicolo.

Il numero totale degli indagati è salito a 18. Nell’ordinanza del gip nell’ultima cooperativa voluta dalla coppia viene portata in ballo anche Daniele Goglio a cui è stata ceduta: “Gli ho detto – riferisce quest’ultimo a Aldo Periale, un altro dei nuovi amministratori – ‘Tiziano, cioè chiama chi vuoi, i conti son questi, son 300.000 euro da pagare e da pagare subito, perché se non li pago subito, gli ho detto, arriva .. arriva un decreto su Marmodiv e io gli ho detto lo ribalto”. E si indaga anche per fatture ‘false’ per 200mila euro.

(di Domenico Mugnaini/ANSA)

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