Pakistan: i “don Bosco” che liberano i bimbi-schiavi

Pakistan: bambini schiavi che lavorano nelle fornaci di mattoni.
Pakistan: bambini schiavi che lavorano nelle fornaci di mattoni.

LAHORE (PAKISTAN). – Padre Edward Thurai tutti i giorni si reca alla fornace dove si fabbricano i mattoni, alla periferia di Lahore, Pakistan. Lì si lavora 12 ore al giorno per 4-5 euro e l’anziano religioso, degli Oblati di Maria Immacolata, da 40 anni strappa i più piccoli, spesso anche solo di 4-5 anni, a un lavoro praticamente da schiavi per portarli a scuola.

Contratta con le famiglie, poi, grazie alle offerte che gli arrivano, paga rette, libri, divise. “I bambini devono avere in mano libri, non mattoni”, dice all’ANSA spiegando che l’istruzione, in un Paese in cui il tasso di alfabetizzazione è pari a circa il 50%, è l’unica via di riscatto da una vita di sicura schiavitù. Situazione, questa, che riguarda soprattutto la minoranza più a rischio nel Paese, quella dei cristiani.

Con orgoglio racconta che una di quelle bambine che ha aiutato a studiare oggi è negli Stati Uniti ed è ingegnere alla Nasa. Da Lahore a Karachi sono decine le scuole aperte dalla Chiesa cattolica, e centinaia le suore e i preti, i ‘don Bosco’ di oggi, che vanno per le strade a convincere le famiglie a mandare i ragazzi tra i banchi di scuola. A Karachi ci sono tre scuole dentro il compound dell’arcivescovado, una per bambini orfani, una per le ragazze e un college per gli studi superiori.

Ma finito l’orario scolastico un gruppetto di tre suore esce dai cancelli per portare la scuola ai ragazzi che vivono per strada. “L’educazione è la priorità, è l’unica via per pensare ad un futuro diverso, per sperare in una convivenza fatta di armonia, e nelle nostre scuole vengono infatti non solo cristiani ma anche ragazzi musulmani”, dice il cardinale di Karachi, Joseph Coutts, nell’ambito di una missione in Pakistan di Aiuto alla Chiesa che Soffre, la fondazione pontificia che negli ultimi sei anni ha sostenuto progetti di aiuto nel Paese per 4 milioni di euro, anche sul versante dell’istruzione.

C’è una scuola anche nel sobborgo più povero della città, Essa Nagri (tradotto dall’urdu ‘il quartiere di Cristo’), dove i cristiani si sono ammassati per sentirsi più sicuri. Un quartiere dove le fogne sono a cielo aperto, i collegamenti elettrici precari e anche la sicurezza non è sempre garantita. Nel 2016 furono uccisi cinque ragazzi cristiani dai fondamentalisti islamici. Da allora è stato innalzato un muro di divisione. Una barriera che protegge ma anche isola in quello che di fatto è un ghetto.

Poco fuori, nel quartiere Gulshan Igbal, c’è la scuola San Filippo: 800 i bambini, cristiani e musulmani insieme, che accedono ad un insegnamento di livello alto, in lingua inglese. Qui “cerchiamo di insegnare soprattutto il rispetto, la convivenza, la dignità”, spiega il viceparroco, padre Joseph Saleem. E se gli chiedi se la convivenza tra i piccoli con famiglie di diverse religioni è possibile risponde con decisione: “Sì, certo, a volte litigano e si insultano ma esattamente come accade in tutte le scuole del mondo”.

C’è infine anche una storia ‘made in Italy’: suor Agnese Gronis, 76 anni, nata sulle Dolomiti del bellunese, da 38 anni vive in Pakistan e gestisce con tre consorelle una libreria delle Paoline a Karachi. Tra gli scaffali si trovano il Vangelo in urdu, la ‘Bibbia del fanciullo’ pubblicata da Acs in tutte le lingue, rosari. Ma anche libri di favole, testi scolastici e romanzi perché “l’istruzione è una forma di carità”, spiega la religiosa.

Suor Agnese confida: “All’inizio non volevo stare qui, non sapevo come comportarmi. Ma è questa ora casa mia. Anzi quando torno d’estate sul Col di Lana mi rendo conto che non sono più abituata neanche a quel freddo delle nostre montagne”.

(di Manuela Tulli/ANSA)

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