Davos: anche l’Ocse verso il taglio del Pil. Attesi Tria e Conte

Il Segretario generale della Organization for Economic Cooperation and Development (OCSE), Jose Angel Gurria Treviño.
Il Segretario generale della Organization for Economic Cooperation and Development (OECD), Jose Angel Gurria Treviño. EPA/Mario Guzmán

DAVOS. – Anche l’Ocse si unisce al coro delle istituzioni, nazionali e internazionali, che tagliano la crescita italiana per il 2019, mettendo in forse i piani di bilancio e alimentando le aspettative di una possibile manovra correttiva nel giorno stesso in cui al Forum economico mondiale arriva il ministro dell’Economia Giovanni Tria. “Sì, può essere”, è la risposta del segretario generale dell’organizzazione parigina a chi gli chiedeva, a margine del Forum economico mondiale, se anche dall’Ocse sia in arrivo un taglio delle stime, già a novembre riviste a 0,9% – la crescita più bassa fra i 30 membri ad esclusione di Argentina e Turchia – da 1,1% di appena due mesi prima.

Una mossa che arriverà probabilmente nelle nuove previsioni di marzo, e che segue a distanza di un giorno il taglio da parte del Fondo monetario internazionale, ieri, e quello da parte della Banca d’Italia, venerdì scorso, entrambi allo 0,6%. Numeri che alimentano il dibattito su una manovra correttiva, che oggi il ministro alle Politiche europee Paolo Savona ha giudicato “una malattia mentale”. E che rischiano persino di sollevare le attese sull’attivazione delle clausole di salvaguardia.

Inevitabile che, a meno di quattro mesi dalle elezioni europee, la maggioranza di governo in Italia guardi come il fumo negli occhi ad un simile ‘accerchiamento’ da parte di istituzioni giudicate ‘tecnocratiche’, nonostante sia il frutto di una revisione globale della crescita, sotto i colpi dell’incognita Brexit, di quella sui dazi col negoziato fra Usa e Cina aperto per evitare una corsa alla rappresaglia.

Anche l’Ocse, dopo aver previsto fino a qualche mese fa un ritorno della crescita globale ai livelli pre-crisi, intorno al 4%, ha dovuto riconoscere che non si supererà il 3,5%, seguito a poche settimane di distanza dal Fmi, come Gurría fa notare con una punta d’orgoglio. L’ex navigato politico messicano ci tiene a non drammatizzare la situazione italiana. Si è già confrontato “quattro o cinque volte” con Tria, ha incontrato il premier Giuseppe Conte al G20 di Buenos Aires. Invita a considerare che “tutti i nuovi governi vogliono fare tutto nei primi tre giorni. E’ legittimo ma non è possibile, serve visione di medio termine”.

C’è inoltre – ha proseguito – “questo negoziato con la Ue sui decimali. In ogni caso credo che le autorità italiane abbiano ben chiaro che serve un equilibrio fra la crescita e i programmi sociali che vogliono fare, e anche il debito”. Una posizione conciliante che evita il ‘muro contro muro’ con l’Italia. Anzi,Gurría evoca un possibile colloquio proprio qui a Davos, fra un discorso pubblico e l’altro.

Tria, che arriva in serata in una Davos coperta dalla neve, parlerà in un panel dedicato al futuro dell’Europa, presente anche il Commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici, già domani pomeriggio. Subito dopo sarà il premier Giuseppe Conte a rivolgere uno ‘special adress’ alle 17.30, oltre a tenere un colloquio bilaterale a porte chiuse col presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Inevitabile che le questioni della crescita, del bilancio e delle banche italiane in difficoltà – nel contesto più ampio delle numerose grane europee – saltino fuori.

Domani sera una cena a porte chiuse riunirà la cancelliera Merkel, il ministro delle Finanze francese Bruno Lemaire (giusto oggi è stato firmata l’intesa Parigi-Berlino) e la presidente di Business Europe e dell’Eni Emma Marcegaglia. Giovedì il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi avrà un incontro informale con i vertici delle aziende italiane presenti a Davos.

Il messaggio che l’Italia vuole portare al Forum, e ai numerosi investitori che vedranno soprattutto Tria, è che l’espansione fiscale della manovra era giustificata dalla frenata dell’economia globale. Ma fra l’elite globale riunita al Wef in molti storcono la bocca, nient’affatto convinti che il 2020 – l’anno in cui termina lo stimolo fiscale di Trump e tanti nodi giungono al pettine – sarà migliore del 2019. E dunque che le munizioni che l’Italia ha già sparato non rischino di essere necessarie più in là.

(dell’inviato Domenico Conti/ANSA)

Lascia un commento