Russiagate a una svolta, lascia il supervisore delle indagini

Il procuratore speciale Robert Mueller. Russiagate
Il procuratore speciale Robert Mueller

WASHINGTON. – Il Russiagate sembra vicino ad una svolta, con il procuratore speciale Robert Mueller che aggiunge altri tasselli importanti alla sua inchiesta e il vice ministro della giustizia Rod Rosenstein pronto a lasciare dopo la conferma di William Barr come nuovo attorney general, prevista la prossima settimana al Senato. La partenza di Rosenstein, scrupoloso supervisore dell’inchiesta da tempo nel mirino di Donald Trump, riapre gli interrogativi sul destino del Russiagate.

Barr era stato contattato dal tycoon per difenderlo nelle indagini e aveva espresso varie critiche al team di Mueller, difendendo inoltre le richieste del presidente di indagare pure in altre direzioni, a partire da Hillary Clinton. I dem si preparano a metterlo sotto torchio ma sembra improbabile che Barr possa fermare il procuratore speciale a poche settimane dall’annunciato rapporto finale, che potrebbe aprire la strada all’impeachment.

Difficilmente i dem potrebbero evitare di mettere in stato d’accusa il presidente alla Camera, di fronte a prove solide. Ma se i repubblicani continueranno a fare quadrato intorno a Trump, al Senato non ci sarà la maggioranza dei due terzi per condannare il tycoon, che potrà così affrontare la campagna presidenziale con l’aureola del “perseguitato politico”.

Mueller intanto aggiunge mattoni pesanti al suo castello accusatorio. Uno è stato rivelato accidentalmente dall’avvocato di Paul Manafort negli atti in cui respinge le accuse al suo cliente di violare l’impegno a collaborare con Mueller. Atti da cui emerge che l’ex capo della campagna presidenziale di Trump condivise i sondaggi riservati della campagna del tycoon con un suo socio russo, Konstantin Kilimnik, ritenuto legato all’ intelligence di Mosca, la stessa accusata di aver interferito nelle elezioni Usa.

La mossa sembra la prova finora più evidente di una possibile collusione con i russi, anche se non è dato sapere se Trump ne fosse al corrente o se Manafort abbia agito per conto proprio, magari per tentare di allentare le pressioni sui suoi debiti con Oleg Deripaska, oligarca russo vicino al Cremlino e destinatario dei sondaggi. Il capo della campagna del tycoon discusse con Kilimnik anche di un piano di pace per l’Ucraina, pare congeniale a Mosca, che era interessata a scrollarsi di dosso le sanzioni internazionali.

Il secondo mattone è l’incriminazione per ostruzione della giustizia di Natalia V. Veselnitskaya, l’avvocatessa russa che nel giugno 2016 partecipò all’incontro alla Trump Tower con Manafort, il primogenito e il genero del presidente, promettendo materiale compromettente contro Hillary Clinton, la rivale del tycoon. Si tratta di un caso non collegato risalente al 2013, quando difese una società russa dall’accusa di riciclaggio, aiutando il governo di Mosca a redigere documenti a discolpa. Ma finora aveva negato di aver mai avuto contatti del genere.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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