Calcio: cori antisemiti a Wembley, in tre subito in cella

Tifosi del Chelsea agitano le bandiere della squadra nello stadi di Wembley.
Tifosi del Chelsea agitano le bandiere della squadra nello stadi di Wembley.

LONDRA. – Un coro da stadio a sfondo antisemita, intonato nell’area rinfresco dello stadio di Wembley, è costato l’arresto, con denuncia per odio razziale, a tre giovani tifosi inglesi, uno dei quali minorenne. E’ tolleranza zero negli stadi del Regno Unito contro ogni forma di razzismo.

L’ultimo episodio risale a martedì sera, 20 minuti prima del fischio d’inizio della semifinale di Coppa di Lega tra Tottenham e Chelsea. Un derby a rischio, non solo per la rivalità stracittadina, ma anche per i pregiudizi che accompagnano i tifosi degli Spurs, molti dei quali ebrei, ovunque bersagliati da insulti anti-semiti. Non a caso alla vigilia il Chelsea aveva invitato i suoi stessi tifosi a denunciare “qualsiasi comportamento inappropriato o un’attività criminale, per garantire che i crimini motivati dall’odio, compresi il razzismo e il linguaggio antisemita, siano affrontati con fermezza”.

Come puntualmente avvenuto all’interno dello stadio londinese, dove tre tifosi – di 17, 20 e 23 anni – sono stati arrestati, assieme ad una quarta persona, accusata di spaccio di droga. La polizia, confermando tramite un tweet il fermo, non ha voluto rivelare la squadra d’appartenenza dei tre arrestati, sui quali pende l’accusa di “reato di ordine pubblico aggravato dall’odio razziale”.

Non è certo il primo caso di tempestivo intervento delle forze dell’ordine, o degli stessi club, nel punire chi si macchia di simili reati negli impianti inglesi. All’insegna di quella tolleranza zero che e’ il senso del tanto elogiato ‘modello inglese’. Qualche giorno fa un altro tifoso del Chelsea è stato multato, e bandito da tutti gli stadi del Regno per 3 anni, per aver intonato cori omofobici. Mentre lo scorso dicembre a 4 tifosi dei Blues è stato vietato a vita l’ingresso allo Stamford Bridge per i cori razzisti indirizzati all’attaccante del Manchester City, Raheem Sterling.

Punizione, ma anche prevenzione. Perché le società non solo finanziano generosamente un’organizzazione “Kick It Out”, impegnata a sensibilizzare i tifosi contro ogni tipo di discriminazione. Ma assumono anche iniziative proprie, come lo stesso Chelsea che l’estate scorsa ha organizzato una trasferta per 100 suoi tifosi nel campo di concentramento di Auschwitz.

Se la violenza è stata quasi completamente eliminata, almeno dagli stadi della massima divisione, molto resta da fare per scongiurare cori e insulti di natura discriminatoria, razzisti o omofobi che siano. Le difficoltà sono oggettive (non sempre è possibile risalire all’autore del determinato insulto), ma altrettanto chiaro è l’impegno dei club. I primi a sapere che – al di là delle ovvie ragioni etico-morali – gli stadi ridotti a palcoscenici di squallida inciviltà sono di minor attrazione per televisioni e sponsor. Dunque anche per tutelare il proprio brand di successo globale, la Premier League, e con essa i suoi club, sono in prima fila – senza tentennamento alcuno – nella lotta al razzismo.