Trump, via capo gabinetto Pentagono. Ma Bolton frena sulla Siria

Soldato americano di stanza in in Afghanistan. Mattis
Soldato americano di stanza in in Afghanistan.

WASHINGTON. – Cade un’altra testa al Pentagono: è quella del capo di gabinetto Kevin Sweeney, il contrammiraglio che è stato uno dei più stretti collaboratori del segretario alla difesa James Mattis, e come lui contrario al ritiro delle truppe Usa dalla Siria e dall’Afghanistan. Proprio per questo – spiegano fonti governative – dietro alle improvvise dimissioni di Sweeney ci sarebbe lo zampino della Casa Bianca, che di fatto lo avrebbe costretto all’addio come accaduto con lo stesso Mattis e con la portavoce del dipartimento alla difesa Dana White.

Ma nelle ultime ore aumenta l’incertezza sulla reale strategia degli Usa in Siria, con il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton che sembra frenare sul ritorno a casa dei soldati americani: il ritiro è legato alla definitiva sconfitta dell’Isis e alla garanzia di protezione dei combattenti curdi minacciati dalla Turchia, ha precisato durante la sua visita a Gerusalemme per rassicurare il premier israeliano Benyamin Netanyahu. Mentre il segretario di Stato Mike Pompeo è in partenza per un serrato tour in diversi Paesi alleati del Medio Oriente.

La confusione è però aumentata da un tweet di Donald Trump che ribadisce con fermezza la sua decisione: “Le truppe Usa andranno via dalla Siria velocemente. Abbiamo spazzato via l’Isis, e l’Iran, la Russia e la Turchia che odiano lo Stato islamico più di noi possono combatterlo da soli”.

Intanto l’operazione di rimpasto avviata nell’amministrazione dopo le elezioni di metà mandato non si ferma e – osservano in molti – assomiglia sempre più ad un’epurazione: via chi non è allineato e frena l’agenda del presidente. Con quest’ultimo che ora può contare sui pochissimi rimasti della vecchia guardia – come il genero Jared Kushner e lo stratega Stephen Miller – e su una rinnovata cerchia di fedelissimi come il nuovo capo dello staff della Casa Bianca Mick Mulvaney.

Tutti convocati nel weekend nella residenza presidenziale di Camp David per fare il punto della situazione. Un vero e proprio ritiro, insomma, dei più stretti consiglieri e collaboratori del tycoon per decidere cosa fare e come contrastare la nuova realtà creatasi in Congresso, con i democratici in maggioranza alla Camera. E per definire l’agenda per il 2019 anche in vista del discorso sullo stato dell’Unione che il tycoon dovrà tenere il prossimo 29 gennaio davanti al Congresso riunito in sessione plenaria.

Al centro della discussione soprattutto il nodo dello shutdown entrato nella sua terza settimana. E’ proprio Trump di ritorno alla Casa Bianca da Camp David ad aprire quello che sembra uno spiraglio, rendendo noto su Twitter che il vicepresidente Mike Pence ha di nuovo incontrato i leader democratici del Congresso Nancy Pelosi e Chuck Schumer e che stavolta il confronto sarebbe stato “produttivo”.

E spunta l’ipotesi di una “barriera di acciaio” per proteggere il confine con il Messico al posto di un muro di cemento: “Ci stiamo lavorando”, afferma il presidente americano, parlando di “una soluzione sia più forte, sia meno invadente. Una buona soluzione made in Usa”. Il tycoon ha comunque detto di essere determinato ad andare avanti anche senza accordo, tentato dal dichiarare lo stato di emergenza nazionale per reperire i fondi necessari a sigillare la frontiera sud.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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