2018 nero per i reporter, 80 morti e oltre 300 detenuti

Una macchina fotografica in primo piano e dietro un cartello con la scritta in spagnolo: Non si uccide la verità assassinando i giornalisti". Reporter
Rsf: "L'odio dei politici contro giornalisti alimenta violenze"

PARIGI. – Un 2018 nero per i giornalisti. Dopo tre anni consecutivi di calo, riesplodono le violenze contro gli operatori dell’informazione nel mondo. Secondo l’ultimo bollettino di Reporters sans Frontières (RSF), 80 reporter sono morti nell’esercizio della loro professione nel 2018, l’8% in più rispetto al 2017, quando erano stati 65. Mentre sono oltre 700 quelli rimasti uccisi nell’ultimo decennio.

Dati che non includono la morte dell’italiano Antonio Megalizzi, che esattamente una settimana fa, per una tragica coincidenza, è stato freddato in strada dall’attentatore Cherif Chekatt mentre si trovava a Strasburgo per coprire la sessione plenaria dell’Europarlamento con l’amico e collega polacco Pedro Orent-Niedzielski.

“Le violenze contro i giornalisti raggiungono quest’anno un livello inedito, tutti gli indicatori sono in rosso”, ha avvertito il segretario generale di Rsf, Christophe Delpore, sottolineando che “l’odio contro i giornalisti propagato, se non rivendicato, da leader politici, religiosi o businessmen senza scrupoli ha conseguenze drammatiche sul terreno e si traduce in un innalzamento inquietante degli abusi”.

Per lui, sono inoltre “pesanti” le responsabilità dei social network, che fungono da cassa di risonanza all’odio anti-reporter. Una situazione, ha messo in guardia Delpore, che “legittima le violenze indebolendo ogni giorno di più, il giornalismo e con esso la democrazia”. Per Rsf, nel 2018, oltre la metà dei giornalisti uccisi sono stati “presi deliberatamente come obiettivo e assassinati” (49, ovvero il 61%), come l’editorialista Jamal Kashoggi al consolato saudita di Istanbul o il giovane collega slovacco che indagava sulle ramificazioni della ‘ndrangheta nel suo Paese, Jan Kuciak.

Con 15 morti nel 2018, l’Afghanistan si attesta oggi come il Paese più letale per i giornalisti, seguito da Siria (11 morti) e Messico (9 morti). Altro fatto notevole, scrive Rsf, l’ingresso degli Usa tra le nazioni con il maggior numero di reporter uccisi (sesto posto) dopo la strage alla redazione di Capitol Gazette, lo scorso giugno ad Annapolis.

Nel 2018 è cresciuto anche il numero di operatori dei media detenuti: 348 contro 326 nel 2017. Come lo scorso anno, oltre la metà si concentra in cinque Paesi: Iran, Arabia Saudita, Egitto, Turchia e Cina. Quest’ultima resta la prima prigione al mondo con 60 giornalisti dietro alle sbarre.

Quanto al numero di ostaggi al livello globale, è anch’esso in crescita, dell’11%, con 60 reporter finiti tra le mani dei rapitori, incluso l’Isis, contro 53 lo scorso anno. Sui 59 trattenuti in Medio Oriente (Siria, Iraq, Yemen), 6 sono stranieri. Rsf segnala infine 3 nuovi casi di giornalisti scomparsi nel 2018, due in America latina e uno in Russia.

(di Paolo Levi/ANSA)