Amnesty: “Nel 2018 un mondo di contrasti sui diritti umani”

Dimostrazioni in solidarietà di Amnesty con il cartello giallo in mano
Amnesty: "Nel 2018 un mondo di contrasti sui diritti umani"

ROMA. – Da Angola ed Etiopia arrivano “segnali di speranza”, mentre nelle Americhe preoccupa l’ascesa di leader “ostili ai diritti umani” come il brasiliano Jair Bolsonaro. In Asia Orientale vi sono stati passi avanti sui diritti Lgbti, mentre in quella sudorientale la situazione è peggiorata. Sono questi alcuni dei dati contenuti nel rapporto di Amnesty International “Rights Today”, pubblicato in Italia col titolo “La situazione dei diritti umani nel mondo. Il 2018 e le prospettive per il 2019”, riguardante i diritti umani in sette regioni del mondo.

Il documento riporta che in Africa, nonostante alcuni progressi, molti governi dell’area subsahariana hanno fatto ricorso a tattiche repressive per ridurre al silenzio difensori dei diritti umani, giornalisti, manifestanti e altre voci dissidenti. Tuttavia, nel continente non sono mancati segnali di speranza, anche a seguito di cambi di leadership, come in Angola ed Etiopia.

Per quanto riguarda le Americhe, l’ong riporta che un ambiente repressivo nei confronti dei diritti umani ha determinato uccisioni di ambientalisti e leader sociali a livelli allarmanti, come nel caso della Colombia, e l’ascesa di leader che hanno fatto “sfoggio di una retorica estremamente ostile ai diritti umani”, come il neo presidente brasiliano Jair Bolsonaro.

Le crisi dei diritti umani in Venezuela e in America centrale hanno costretto un numero senza precedenti di persone a lasciare i loro paesi, e se alcuni stati le hanno accolte, gli Usa hanno reagito separando e imprigionando nuclei familiari e restringendo il diritto d’asilo.

Secondo Amnesty, in Asia orientale vi sono stati passi avanti sui diritti delle persone Lgbti ma gli spazi di libertà per la società civile si sono ristretti. Uno dei peggiori sviluppi è stata la detenzione di massa, da parte delle autorità della Cina, di un milione di uiguri, kazachi e altre minoranze prevalentemente musulmane. Colloqui senza precedenti hanno avuto luogo tra le due Coree, con possibili importanti effetti per i diritti umani nella penisola coreana.

In Medio Oriente e Nordafrica, in un contesto regionale segnato da perduranti conflitti (Yemen, Siria, Libia), l’attivismo delle donne ha segnato alcuni dei momenti più importanti dell’anno: dalla vittoriosa fine del divieto di guida per le donne in Arabia Saudita alla resistenza contro l’obbligo d’indossare il velo in Iran. L’esercito israeliano “ha causato un elevato numero di vittime civili palestinesi come non si vedeva da anni”. Gli spazi per l’espressione pacifica delle opinioni si sono ristretti in Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Iran.

Amnesty riporta che i governi dell’Asia meridionale hanno continuato a minacciare, intimidire e processare difensori dei diritti umani. In Bangladesh e Pakistan le autorità hanno fatto ricorso a leggi drastiche per colpire la libertà d’espressione. In India, il governo ha cercato di demonizzare e perseguitare i gruppi della società civile. Ma ci sono stati anche segnali di speranza: a maggio il parlamento del Pakistan ha approvato una delle leggi più progressiste al mondo sui diritti delle persone transgender.

Infine, in Asia sudorientale, la violenta campagna di uccisioni, stupri e incendi delle forze armate di Myanmar ha costretto oltre 720.000 rohingya a lasciare lo stato di Rakhine e a trovare riparo in Bangladesh. È aumentata l’intolleranza nei confronti del dissenso pacifico e dell’attivismo, così come in Cambogia verso le opposizioni politiche e gli organi d’informazione indipendenti. Nelle Filippine, altre vite umane sono state perse nell’ambito della “guerra alla droga” del governo del presidente Duterte.

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