Dalla scatola escono le statuine del presepe.
Escono con ordine, un ordine che mette pace.
Le guardo schierate sul tavolo: sono vecchie, ma non ancora antiche.
Il tempo è passato e ha lasciato i suoi segni:
San Giuseppe s’è un po’ scolorito,
il manto di Maria è segnato da piccole scheggiature, ma nel blu sembrano stelle,
un orecchio dell’asinello ha perso la punta,
lo scrigno di un re magio s’è spaccato e qualche grano di incenso è caduto,…
Forse si potrebbero ricoverare in museo, ma non lo trovo giusto: esse, infatti, con le loro imperfezioni sono così vere!
Somigliano a noi, che invecchiamo, collezioniamo fallimenti e delusioni, portiamo addosso graffi e cicatrici, eppure non ci stanchiamo di sorridere a un bambino appena nato, di difenderlo da ogni minaccia, fin dal grembo materno, di dargli una casa, del cibo, dell’acqua, un vestito, delle cure,…
Giorno e notte si succedono e le statuine restano lì a vegliare, a riscaldare, a offrire, a camminare, a cantare lodando Dio!
A qualcuno fa paura questo loro restare, ma alla maggior parte delle persone comunica tenerezza, quella tenerezza di cui ciascuno nelle sue giornate sente il bisogno.
A noi cristiani il presepe ricorda l’amore di Dio che sempre si rinnova, agli altri, forse, fa pensare a un bel panorama o alla bravura dell’artista che lo ha allestito,…
Ma a tutti dice la bellezza della vita semplice, delle relazioni autentiche, della solidarietà, dei buoni pensieri.
A me il presepe dice che, se voglio portare misericordia ai fratelli, non devo distogliere lo sguardo da quel Dio tanto misericordioso da venire «in una grotta al freddo e al gelo».
don Gian Luca