Scacco a clan mafioso di nigeriani, 21 arresti a Cagliari

La proizione della Polizia con le foto e nomi della struttura delinquenziale dei nigeriani
Cagliari, sgominato clan mafioso nigeriano

CAGLIARI. – Avevano scelto la Sardegna come base operativa per pianificare il traffico di droga e la tratta di donne destinate allo sfruttamento: tutto in un capannone preso in affitto a Selargius, a pochi chilometri da Cagliari. E’ in questo fabbricato dall’apparenza innocuo che si incontravano i vertici della cellula mafiosa nigeriana, la Calypso Nest, costola italiana dell’organizzazione criminale internazionale della stessa etnia denominata Supreme Eiye Confraternity.

Lo hanno scoperto gli investigatori della prima sezione della Squadra mobile di Cagliari che, su disposizione della Dda del capoluogo isolano, hanno eseguito in Sardegna, Veneto, Lombardia e Campania 21 decreti di fermo nei confronti di altrettanti nigeriani, tutti accusati di associazione di stampo mafioso, tratta di esseri umani aggravata dallo sfruttamento della prostituzione e traffico di droga.

Trentasei complessivamente gli indagati. Partite nel 2017, le indagini hanno consentito di identificare tutti i componenti della cellula sarda. Grazie anche alle riprese video, in particolare quelle all’interno del capannone, la Polizia è riuscita a ricostruire l’intero organigramma del gruppo criminale. E attraverso le intercettazioni telefoniche gli investigatori sono poi risaliti ai collegamenti con le altre cellule presenti in Veneto, a Treviso e Padova, dove abitavano gli elementi di spicco della cellula italiana della Supreme Eiye Confraternity.

L’affiliazione all’organizzazione internazionale ha permesso al gruppo sardo di radicarsi sul territorio, utilizzando le stesse tecniche mafiose per ottenere dai seguaci assoluto rispetto e totale obbedienza: intimidazioni, punizioni corporali, riti tribali. “Il gruppo sgominato è una vera cupola mafiosa che agiva con regole ferree”, ha confermato il questore di Cagliari Pierluigi D’Angelo.

Mantenere il silenzio, non mettere a segno azioni tali da insospettire le forze dell’ordine, rispettare gli ordini dei superiori, ma anche rivolgersi al clan per risolvere i problemi: queste alcune delle regole che gli affiliati dovevano rispettare, oltre al fatto di dover indossare durante i meeting nel capannone di Selargius baschi o berretti di colore azzurro e sciarpe giallo rosse a seconda dei ruoli e degli incarichi ricevuti.

Tutti gli appartenenti al gruppo criminale sardo, in Italia da almeno 3 anni con un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, avevano il traffico di droga come principale fonte di reddito, ma fingevano di vivere con l’elemosina. Il clan ha fatto arrivare nell’Isola un fiume di cocaina e eroina: almeno 75 i chili sequestrati nel corso delle indagini.

Altra fonte di guadagno era lo sfruttamento della prostituzione legato alla tratta delle donne. Gli investigatori hanno accertato due episodi avvenuti a Reggio Calabria e Palermo, vittime due giovani nigeriane. Avvicinate dall’organizzazione nel loro paese di origine con la finta promessa di un lavoro regolare, avevano contratto un debito di 15mila euro con una ‘mamam’ per pagarsi il viaggio verso l’Italia. Una volta sbarcate in Calabria e in Sicilia, le ragazze sono state contattate da due affiliati al clan sardo. Ma alle due connazionali non è stata offerta alcuna occupazione ‘pulita’: sono state invece costrette a prostituirsi, una in strada l’altra in un appartamento, per saldare il debito con la ‘mamam’.

(di Manuel Scordo/ANSA)

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