Privatizzazioni: diciotto miliardi in un anno, da immobili a società

Il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, durante il Question Time alla Camera dei Deputati. Privatizzazioni
Il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, durante il Question Time alla Camera dei Deputati. Roma, 14 novembre 2018. ANSA/CLAUDIO PERI

ROMA. – Il vice premier Luigi Di Maio assicura, “non venderemo i gioielli di famiglia”. Ma il piano di privatizzazioni che il governo ha promesso a Bruxelles è di rilievo: 18 miliardi di cessioni nel 2019 come indica la nuova versione del Draft Budgetary Plan inviato a Bruxelles da ministro dell’Economia Giovanni Tria. Un punto di pil di dismissioni al quale si aggiungono altri 0,3 punti da realizzare quest’anno e altri 0,3 punti per il 2020. In totale quindi circa 28 miliardi.

“Abbiamo previsto immobili, beni di secondaria importanza, ma Eni, Enel, Enav o simili soggetti non finiranno in mani private: devono restare saldamente nelle mani dello Stato”, ha assicurato Di Maio. “Hanno messo in bilancio 18 miliardi di vendite di beni pubblici in un anno, quando l’Italia in 7 anni ha incassato 8,7 miliardi. Dicono, senza vendere i gioielli di famiglia’. Siamo oltre la decenza, sulla pelle degli italiani”, accusa il segretario uscente del Pd Maurizio Martina.

Ma in tema di privatizzazione non si inventa nulla. Così l’ipotesi più probabile, che sembra l’unica possibile incrociando le dichiarazioni di Di Maio con gli importi elevati previsti nella Dpb, è quella di riprendere le fila dei dossier lasciati a metà dai precedenti governi. Che, inizialmente avevano promesso dismissioni maggiori, ma poi hanno incontrato difficoltà – sia di mercato sia nel confronto con l’Europa – per realizzarle.

Di certo il governo dovrà uscire entro tre anni dal Monte dei Paschi di Siena. Il piatto potrebbe poi prevedere: una spruzzata di dismissioni immobiliari, ulteriori cessioni di quote di società a Cdp – che è fuori dal perimetro pubblico ma della quale lo Stato possiede l’82,7% – e il rilancio di quote di minoranza di società di rilievo, come ad esempio le Ferrovie, che Di Maio non ha citato tra ‘gioielli intoccabili’.

Le dismissioni immobiliari certo non porteranno grandi risorse. Il patrimonio pubblico vale 283 miliardi ma il 77% è inalienabile e il 23% rimanente è in locazione. Non a caso nel Dpb è scritto che “le dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico per gli anni 2019 e 2020 sono stimate, rispettivamente, pari a 640 milioni e 600 milioni”.

Altro capitolo certo è quello di Mps. Il governo deve cedere il 68,25% che possiede e per il quale ha sborsato 5,4 miliardi. Ora però la quota vale poco più di un miliardo, ma il Tesoro dovrà cederla entro il 2021. L’altro volano di privatizzazione è poi l’utilizzo della Cdp. Il governo Gentiloni aveva avviato la cessione alla Cassa di un’ulteriore quota appena superiore al 3,3% di Eni e del 53% di Enav. Al valore attuale la prima varrebbe 1,6 miliardi, la seconda 1,1 miliardi. L’operazione era data per certa alla fine del 2017 ma poi aveva incontro ostacoli nel confronto con Bruxelles che non le avrebbe contabilizzate come privatizzazioni.

E’ chiaro che serviranno anche altre cessioni. Nessuno si sbilancia sui nomi. Ma il governo ipotizzava nel passato una seconda tranche di Poste, mai realizzata. Un altro capitolo rimasto a metà è quello di Ferrovie. Alla fine del 2015 si valutava di mettere sul mercato il 40% con un incasso tra i 4 e i 7 miliardi. Ma poi si decise di seguire la strada delle nozze con Anas, un matrimonio che l’arrivo del governo giallo-verde ha mandato in frantumi e potrebbe quindi consentire di rilanciare la vecchia ipotesi.

(di Corrado Chiominto/ANSA)