Cosa hanno in comune Balenciaga e Arbre Magique?

Nella prima metà del secolo scorso il designer e stilista basco Cristóbal Balenciaga era un dio: “il maestro di tutti noi” secondo Christian Dior, un concorrente non noto per la propria umiltà. Coco Chanel lo definì invece: “l’unico couturier nel senso più vero della parola. Gli altri sono solo dei designer di moda…”

Balenciaga ha aperto la sua prima boutique a San Sebastián, nei Paesi Baschi, nel 1919. Vestiva i Reali di Spagna e l’aristocrazia iberica fino agli Anni ’30, quando la Guerra Civile spagnola gli suggerì di trasferire l’attività a Parigi, dove il suo atelier di Avenue George V divenne subito un punto fermo dell’alta moda internazionale.

Perfino  durante la Seconda Guerra mondiale i clienti più fedeli continuavano a rischiare il viaggio nella capitale francese – allora sotto l’occupazione nazista – pur di rifornirsi dei suoi modelli esclusivi. Non andò peggio nel dopoguerra quando si contavano tra i suoi apprendisti Oscar de la Renta, André Courrèges, Emanuel Ungaro e Hubert de Givenchy. Cristóbal Balenciaga chiuse il salon parigino nel 1968. Quando morì nel 1972, la “bibbia” del settore, Women’s Wear Daily, titolò solo: “Il Re è morto”. Non serviva altro.

Il marchio è stato riesumato alla fine degli anni ’80. Oggi è di proprietà della Kering, una multinazionale che controlla inoltre i marchi Gucci, Yves Saint Laurent, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron, Brioni e Pomellato. La “nuova” Balenciaga non è più una casa di moda per l’élite. Deve sgomitare con gli altri – il che comporta la necessità di stuzzicare i modaioli con qualsiasi mezzo, comprese curiose cadute di stile come i portachiavi (in cuoio colorato, $275 / €240) raffigurati qui sopra.

C’è un problema però. I produttori dei noti deodoranti per l’auto venduti in Italia sotto il nome di “Arbre Magique” e nei paesi anglosassoni come “Little Trees” sono rimasti colpiti dalla straordinaria somiglianza ai loro alberelli da appendere allo specchietto retrovisore. Pare che la Balenciaga non si sia data la pena di acquisire una licenza per l’utilizzo della “proprietà intellettuale” in questione. Così, la Car-Freshener Corporation di New York fa causa. Non è nota l’entità dai danni richiesti.

(James Hansel)