Curati a pezzi, tre milioni di pazienti tornano in ospedale

Una corsia d'ospedale. Pazienti
Una corsia d'ospedale. (ANSA)

ROMA. – Una visita dal neurologo, poi la valutazione del cardiologo e una dall’endocrinologo. Pazienti “di tutti e nessuno”, sempre più persone vengono “curate a pezzi” e spesso senza un medico che possa dare uno sguardo d’insieme e essere un punto di riferimento in grado di valutare il caso nel suo complesso. Un problema di organizzazione e che porta ogni anno almeno 3 milioni di italiani dimessi dall’ospedale, a farvi ritorno in breve lasso di tempo.

A far luce su un rischio che aumenta di pari passo con l’aumento di malattie croniche, è il 119/mo Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (Simi), in corso a Roma. Dal diabete alle patologie cardiovascolari, fino ai tumori, le malattie croniche, ovvero destinate ad accompagnare il paziente per tutta la vita, sono la nuova emergenza sanitaria: colpiscono sempre più persone di pari passo con l’aumento dell’aspettativa di vita e in Italia sono responsabili del 92% dei decessi. Inoltre il problema riguarda sempre più spesso i più giovani.

A fronte di questo, “manca la capacità di seguire i pazienti in maniera strutturata, individuando priorità di intervento senza perdere di vista la complessità del caso”, denuncia Franco Perticone, presidente Simi. “Oggi la maggior parte dei pazienti cronici è affetta da più patologie la cui interazione produce condizioni cliniche complesse – sottolinea – situazioni spesso non gestibili dal solo specialista d’organo, ma che necessitano della visione olistica dell’internista”.

Basti pensare che solo il 17% dei 20 milioni di italiani che ogni anno accedono a un Dipartimento di emergenza e urgenza viene ricoverato in un reparto di medicina interna: 3,5 milioni di pazienti. Ma di questi, oltre 3 milioni arrivano in ospedale perché una patologia cronica si è riacutizzata a causa di una gestione clinica troppo frammentaria. Negli attuali sistemi organizzativi sanitari questi pazienti rimangono infatti “di tutti e di nessuno”, condannati a entrare e uscire dagli ospedali.

“L’assistenza socio-sanitaria deve adeguarsi alle mutate esigenze epidemiologiche, concentrando l’attenzione sullo stato di salute complessivo della persona più che sulla singola malattia”. Ed è proprio questo il compito degli internisti che, come il dottor House, sono in grado di individuare le diagnosi più complicate e ridurre gli eventi avversi, che generano ulteriori ricoveri e un utilizzo improprio di risorse del Servizio Sanitario Nazionale.

(di Livia Parisi/ANSA)