Shoah, addio all’ultimo sopravvissuto al rastrellamento di Roma

Lello di Segni, matricola 157722, mostra le finestre del secondo piano di casa sua a via di Sant'Ambrogio da cui fu catturato la mattina del 16 ottobre 1943 con suo padre, le sue due sorelline e sua madre in una foto di gennaio 2011.
Lello di Segni, matricola 157722, mostra le finestre del secondo piano di casa sua a via di Sant'Ambrogio da cui fu catturato la mattina del 16 ottobre 1943 con suo padre, le sue due sorelline e sua madre in una foto di gennaio 2011. ANSA / FEDERICA VALABREGA

ROMA. – L’ultimo sopravvissuto al rastrellamento nazista nel Ghetto di Roma del 16 ottobre 1943 se n’è andato. Lello Di Segni, che tra pochi giorni avrebbe compiuto 92 anni, è morto nella notte dopo una vita lunga e piena, segnata da 22 mesi nell’inferno del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Tra la piccola folla che si è ritrovata davanti alla Sinagoga del Portico d’Ottavia per il corteo funebre, molti ragazzi.

Con loro soprattutto Di Segni amava parlare e ripercorrere l’incubo di quel ‘sabato nero’ nel Ghetto e della prigionia nel lager nazista. Anche perché aveva solo 17 anni Lello quando all’alba di un giorno di festa per gli ebrei, sabato e Sukkot, fu prelevato dalle Ss insieme con la madre, il padre e tre fratelli. Mitra dietro la schiena, Di Segni e la sua famiglia furono costretti a scendere in strada e poi a salire su un camion. Destinazione sconosciuta.

Di quel giorno Lello ricordava spesso d’esser riuscito a tornare indietro un’ultima volta in casa, solo per pochi minuti, a prendere qualche vestito. Poi, il buio dei lager nazisti: Auschwitz-Birkenau, Halle e Dachau. “Mi sono salvato solo perché ho lavorato tanto”, aveva raccontato in un’intervista all’ANSA qualche anno fa. Con il terrore che i nazisti lo massacrassero di botte lavorava sempre. Anche quella mattina in cui si svegliò e si ritrovò senza scarpe. Gliele avevano rubate. Andò a lavorare lo stesso, con delle pezze arrotolate attorno ai piedi.

Finalmente, dopo quasi due anni prigionia nei campi di concentramento, il 10 giugno del 1945 arrivò la liberazione. Tornato a Roma, la gioia più grande fu quella di riabbracciare il padre. “In questi anni ho cercato di dimenticare, ma non ce l’ho fatta”, confessava rivendicando con coraggio l’importanza del ricordo, anche se doloroso. Ed è per questo che d’allora decise di andare nelle scuole a passare il testimone.

“Per noi i sopravvissuti ai campi di concentramento sono degli eroi”, dice oggi David, 17 anni come Lello quando fu strappato al suo mondo. “Di Segni è riuscito a tornare da quell’inferno e a dare vita a nuove anime, aveva una bellissima famiglia”, aggiunge lo studente della scuola ebraica che ha potuto vedere con i suoi occhi il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.

Al corteo funebre c’erano il figlio, Roberto, e il nipote 13enne, particolarmente scosso per la scomparsa del nonno. “Man mano che spariscono le persone temiamo solo che sparisca la memoria”, ha avvertito la senatrice a vita Liliana Segre proponendo che la scuola dedichi un’ora a settimana alla memoria. “Dobbiamo insegnare ai ragazzi ad usare la rete bene, per raccogliere ed elaborare temi che riguardano la memoria”, sostiene anche l’ex presidente della Comunità ebraica Romana Riccardo Pacifici invitando ad una “maggiore vigilanza su cosa e su come lo racconteremo”.

La perdita di Di Segni “oltreché essere un dolore per la nostra Comunità è purtroppo un segnale di attenzione e un monito verso le generazioni future – dice la presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello -. Da oggi dobbiamo trovare il coraggio per essere ancora più forti, per non dimenticare e non permettere a chi vuole cancellare la Storia e a chi vorrebbe farcela rivivere di prendere il sopravvento. Il 16 ottobre del 1943 è un ricordo indelebile, una pagina da scrivere tutti i giorni”.

(di Benedetta Guerrera/ANSA)

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