Khashoggi, la crisi diplomatica più grave per Trump

Primo piano del principe ereditario dell'Arabia Saudita, Mohammad bin Salman. Khashoggi
Il principe ereditario dell'Arabia Saudita, Mohammad bin Salman. EPA/ALEXEI DRUZHININ/SPUTNIK/KREMLIN / POOL

WASHINGTON. – Il caso Khashoggi sta diventando per Donald Trump la più grave crisi diplomatica della sua presidenza, mettendo a rischio i rapporti di Riad con gli Usa e più in generale con l’Occidente. In gioco c’è tutta la politica americana in Medio Oriente, oltre alle colossali vendite di armi e agli intrecci finanziari che legano i capitali sauditi alla famiglia Trump, e in particolare a quella del genero Jared Kushner, quasi coetaneo e grande amico del principe ereditario Mohammad bin Salman (Mbs).

Il petrolio conta meno, perché gli Usa sono diventati non solo autosufficienti ma esportatori di energia. Ma la presenza Usa in Medio Oriente fa leva interamente su Israele e sull’Arabia Saudita, che è anche il maggior cliente estero dell’industria bellica a stelle e strisce (ci sono contratti per 150 miliardi di dollari).

Se dovesse incrinarsi l’alleanza con Riad, Washington rischia di vedere saltare la strategia di isolare progressivamente l’Iran con le nuove sanzioni petrolifere previste a inizio novembre: il regno arabo infatti potrebbe non compensare il crollo della produzione del greggio, facendone salire il prezzo alle stelle.

Gli Usa inoltre perderebbero terreno in un teatro geopolitico dove la Turchia, nonostante il recente disgelo dopo il rilascio del pastore evangelico americano Andrew Brunson, prende le distanze dall’Europa e coltiva un’alleanza Nato sempre più ambigua, avvicinandosi a Vladimir Putin, che ha già messo il suo cappello in Siria.

Tutte le amministrazioni Usa hanno sempre mantenuto un legame saldo col Regno, sino a coprire o ridimensionare i legami degli attentatori dell’11 settembre con il governo saudita. E Riad era stata significativamente la prima tappa del viaggio d’esordio all’estero di Trump.

Ora il presidente ha spedito il segretario di stato Mike Pompeo a Riad ed Ankara, accusano i media Usa, per tentare di salvare l’alleanza con l’Arabia Saudita concordando una versione di comodo, ossia che Khashoggi è morto in un interrogatorio finito male. Magari da parte di ‘cani sciolti’, come ha ipotizzato lo stesso tycoon, che continua a invocare la presunzione di innocenza scomodando addirittura la vicenda Kavanaugh.

“Non volterò le spalle a Riad”, ha ribadito anche oggi. Ma il presidente ha tutti contro: media, Congresso, alleati occidentali. Chiudere gli occhi di fronte a verità scomode sarebbe un colpo mortale alla leadership Usa sui diritti umani e si presterebbe ad accuse di doppi standard, dopo le sanzioni a Mosca per il caso Skripal.

Il coltello dalla parte del manico, comunque, ce l’ha il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che non ha ancora svelato le asserite prove (audio e video) del presunto omicidio di Khashoggi. Potrebbe restare sugli scudi, lasciando nell’imbarazzo Riad, e potenzialmente gli Usa, agli occhi del mondo. O ottenere qualche contropartita: da Washington, ad esempio l’estradizione del predicatore Fethullah Gulen, considerato l’ispiratore del fallito colpo di stato, e/o l’abbandono del sostegno ai combattenti curdi nella Siria del nord. Dall’Arabia Saudita investimenti per rianimare la debole economia turca.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)