La yazida e il medico, Nobel contro stupri di guerra

Nobel. Nadia Murad durante un suo intervento a Srtasburgo alla Camera europea.
Nadia Murad durante un suo intervento a Srtasburgo alla Camera europea. EPA/PATRICK SEEGER

ROMA. – Lei ha soli 25 anni, è sopravvissuta a violenze atroci ed è divenuta il simbolo delle sofferenze inflitte dall’Isis alla sua comunità, gli yazidi. Lui, congolese di 63 anni, ha dedicato tutta la sua vita a curare le orribili ferite delle donne vittime di stupri. Due generazioni, due paesi, due mondi, accomunati dalla lotta contro “l’uso della violenza sessuale come arma di guerra”. Una battaglia che oggi è valsa a Nadia Murad e Denis Mukwege il premio Nobel per la Pace.

Entrambi, ha annunciato a Oslo il presidente del comitato che assegna il prestigioso riconoscimento Berit Reiss-Andersen, “hanno dato un contributo cruciale ad accendere i riflettori e combattere questi crimini di guerra”. Murad, ambasciatrice di buona volontà delle Nazioni Unite e già insignita del premio Sakharov nel 2016, ha raccontato la sua prigionia nelle mani degli aguzzini jihadisti in una toccante un’autobiografia, ‘L’Ultima ragazza’ (pubblicata da Mondadori quest’anno).

Con la prefazione del suo avvocato Amal Alamuddin Clooney, il libro racconta senza filtri l’inferno vissuto per tre mesi dalla giovane yazida, strappata nel 2014 dal villaggio in cui abitava nell’Iraq settentrionale e costretta dall’Isis alla schiavitù sessuale fino alla sua miracolosa fuga. Da allora la missione di Nadia è diventata divulgare e denunciare lo sterminio di migliaia di yazidi e la prigionia di tantissime giovani donne come lei.

Per questo ha deciso di dedicare il Nobel a sua madre, uccisa dai jihadisti il giorno del suo rapimento, e a tutte le yazide e gli iracheni morti per mano dall’Isis. Il presidente iracheno Barham Saleh ha definito il riconoscimento “un onore per tutti gli iracheni che combattono il terrorismo e il fanatismo”.

Il ginecologo Mukwege, fondatore e anima dell’Ospedale Panzi di Bukavu, sua città natale nell’est della Repubblica Democratica del Congo, è considerato uno dei più grandi esperti mondiali negli interventi sugli organi interni danneggiati dalle violenze sessuali. Il suo ospedale si prende cura delle donne, spesso delle bambine, vittime di stupri di gruppo perpetrati da soldati e miliziani, in una terra martoriata dalle due guerre del Congo e dal conflitto del Kivu.

Quando è arrivata la notizia del Nobel, il medico si trovava in sala operatoria. “Ho sentito un gran trambusto fuori ma stavo lavorando quindi non ci gli ho dato peso. A un certo punto sono entrati e me l’hanno detto”, ha raccontato Denis a un quotidiano norvegese.

Dall’Ue all’Onu, è stato unanime l’apprezzamento per l’assegnazione del Nobel a Murad e Mukwege. “Quest’anno il premio celebra la forza, il coraggio e la visione, le storie di un uomo e di una donna che hanno rischiato la propria vita per aiutare, proteggere e salvare gli altri”, ha commentato l’Alto rappresentante della politica estera europea Federica Mogherini.

“E’ difficile immaginare due vincitori più degni. E’ un riconoscimento meritato per questi due attivisti straordinariamente coraggiosi, tenaci ed efficaci contro la piaga della violenza sessuale e l’uso dello stupro come arma di guerra”, ha dichiarato l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani Michelle Bachelet.

E per il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, “la violenza sessuale nei conflitti è una minaccia per la pace e una macchia sulla nostra comune umanità, eppure rimane diffusa. Nel difendere le vittime della violenza sessuale in guerra, Denis Mukwege e Nadia Murad hanno difeso i nostri valori condivisi”.

(di Benedetta Guerrera/ANSA)