Le guerre regionali sullo sfondo dell’attacco in Iran

Militari iraniani si riparano durante l'attacco. Iran
Militari iraniani si riparano durante l'attacco.. (ANSA/AP Photo/ISNA, Behrad Ghasemi)

ROMA. – Sono due le rivendicazioni dell’attacco alla parata militare che nel sud-ovest dell’Iran ha provocato una trentina di morti, quella di un gruppo separatista locale e quella dell’Isis. Ma al di là delle sigle, per il governo iraniano non ci sono dubbi: i mandanti sono i “nemici” stranieri, cioè gli Usa e i suoi alleati regionali, mentre è al culmine il braccio di ferro fra Teheran e Washington sui conflitti nell’intera regione.

Per l’Iran, ha affermato a caldo il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, i responsabili sono “gli sponsor regionali del terrore e i loro padroni statunitensi”. Oltre agli americani, dunque, viene chiamata in causa l’Arabia Saudita, grande rivale dell’Iran sui vari teatri di crisi del Medio Oriente, dalla Siria all’Iraq, allo Yemen.

Ma non solo: come di consueto le accuse sono rivolte anche ad Israele e alla Gran Bretagna. Secondo i Pasdaran, il gruppo separatista al-Ahvaziya, una delle due organizzazioni che ha rivendicato l’attacco, “è finanziato da Londra”, oltre che da Riad. La regione del Khuzestan, di cui Ahvaz è capoluogo, è situata al confine con l’Iraq, è popolata da una forte minoranza araba ed è il cuore dell’industria petrolifera iraniana.

Anche questo, insieme alle tensioni etniche, è stato tra i fattori che hanno contributo alle sollevazioni e alle violenze che hanno scosso ciclicamente questo territorio. Decine di morti furono provocati a metà degli anni 2000 da una serie di attentati, e anche allora Teheran denunciò presunti complotti stranieri.

Ma l’ultimo attacco avviene dopo anni di crescenti tensioni tra i due schieramenti che si fronteggiano nei conflitti regionali: da una parte l’Iran e la Russia, dall’altra gli Usa e l’Arabia Saudita, che con l’arrivo alla Casa Bianca del presidente Donald Trump ha visto rinsaldarsi la tradizionale alleanza con Washington dopo un periodo di freddezza durante l’amministrazione di Barack Obama.

Il fronte americano-saudita – appoggiato da Israele – ha tra i suoi obiettivi dichiarati quello di costringere i Pasdaran iraniani a ritirarsi dalla Siria e dall’Iraq, dove si sono radicati durante i conflitti che hanno sconvolto questi Paesi, oltre che a mettere fine alla collaborazione con i ribelli Houthi in Yemen e con gli Hezbollah in Libano.

Quando il presidente Trump, lo scorso maggio, ha annunciato il ritiro degli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano firmato nel 2015, ha citato questa presenza militare tra i motivi principali della sua decisione, insieme con il programma missilistico di Teheran.

Per l’Iran, dunque, non c’è dubbio che l’attacco rientri in questa guerra sotterranea, che a rivendicarlo siano i separatisti arabi del sud o l’Isis, che già il 7 giugno del 2017 aveva compiuto due clamorosi attacchi al Parlamento di Teheran e al mausoleo dell’ayatollah Khomeini, provocando 18 morti e 50 feriti.

“Teheran risponderà rapidamente e con decisione in difesa delle vite iraniane”, ha avvertito Zarif, facendo capire che le tensioni sono destinate ad aumentare ulteriormente. La strage, tra l’altro è avvenuta nel 38/o anniversario dell’aggressione dell’Iraq di Saddam Hussein all’Iran, che nel 1980 scatenò una guerra destinata a durare otto anni durante la quale le truppe di Baghdad ebbero il pieno appoggio degli Usa, dell’Arabia Saudita e degli altri Paesi arabi del Golfo.

(di Alberto Zanconato/ANSA)

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