Rapporto Ocse sulla scuola in Italia: Neet al 30%, in pochi all’asilo

Un'aula di una scuola elementare: alunni seduti ai banchi e maestra in cattedra.
Scuola: professori anziani e poco pagati

ROMA. – Un paese sostanzialmente fermo, dove l’accesso all’istruzione continua a essere facilitato per chi ha genitori laureati, in cui i Neet sono il doppio che altrove, in cui l’università non si è aggiornata negli anni della crisi fornendo sbocchi lavorativi e in cui i professori sono anziani e poco pagati. E’ la fotografia scattata dall’Ocse con la ricerca annuale ‘Education at a glance’, un evento organizzato con l’associazione TreeLLLe ed ospitato dalla Luiss.

NEET: I giovani Neet (che non studiano, non lavorano e non cercano impiego) corrispondono al 30% dei 20-24enni, contro il 16% della media Ocse, ma con variazioni regionali fortissime che vanno dal 12 al 38% per la classe di età tra i 15 e i 29 anni. La quota Neet tra le donne aumenta molti tra i 25 e i 29 anni.

CORPO DOCENTE: Gli insegnanti italiani continuano a essere tra i più anziani nel panorama internazionale (il 58% ha più di 50 anni). I loro stipendi sono inferiori alla media Ocse. Infine l’Italia è uno dei Paesi che prevede il più alto compenso retributivo per i dirigenti scolastici rispetto agli insegnanti.

PESO ORIGINI SOCIALI SU ISTRUZIONE: Dalla ricerca emerge che solo il 24% dei bimbi 0-3 anni frequenta asili nido, contro il 35% della media Ocse. I bambini hanno maggiori probabilità di frequentare i servizi per la prima infanzia se provengono da un ambiente socioeconomico avvantaggiato e quando le loro madri hanno conseguito un titolo di livello terziario. Solo il 19% degli adulti con genitori senza istruzione secondaria superiore ha superato il livello di istruzione dei genitori.

DIFFERENZE DI GENERE NEL MERCATO DEL LAVORO: Se la partecipazione delle giovani donne laureate al mercato del lavoro è elevata, quasi come quella degli uomini, le giovani donne senza un laurea hanno tassi si inattività molto più elevati rispetto agli uomini. Inoltre emerge che le retribuzioni medie delle donne sono inferiori a quelle degli uomini e il divario aumenta per le donne laureate. Una percentuale maggiore di donne ha conseguito la laurea rispetto agli uomini.

ISTRUZIONE DELLA POPOLAZIONE NATA ALL’ESTERO: Gli adulti nati all’estero hanno in media un livello di istruzione inferiore agli adulti nati in Italia. In Italia, tra le persone con un titolo di studio inferiore al grado secondario superiore, quelle nate all’estero hanno una maggiore probabilità di trovare un lavoro rispetto agli autoctoni. Come in molti altri Paesi Ocse, gli adulti laureati nati all’estero hanno però molte meno probabilità di trovare un lavoro rispetto agli autoctoni o agli adulti nati all’estero arrivati entro i 15 anni. È più probabile che chi è nato all’estero guadagni meno degli autoctoni, indipendentemente dal livello d’istruzione. In Italia si stabiliscono soprattutto immigrati scarsamente qualificati che competono con gli italiani senza titolo di studio sul mercato del lavoro. Contrariamente agli altri paesi, gli immigrati laureati in Italia occupano lavori meno qualificati.

DIVARI REGIONALI NELL’ACCESSO E NEGLI ESITI DELL’ISTRUZIONE: I maggiori divari regionali si riscontrano tra i 20-29enni: i tassi di scolarizzazione sono inferiori del 10% rispetto alla media nazionale in Basilicata, nella Provincia autonoma di Bolzano e nella Valle d’Aosta e raggiungono il 25% in altre cinque regioni del Paese (Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Provincia autonoma di Trento e Toscana). Il tasso di occupazione è più nel Sud Italia e nelle Isole.

UNIVERSITA’ E MOBILITA’ DEGLI STUDENTI: L’Italia ha uno dei più bassi tassi di occupazione dei giovani laureati. Il numero di italiani che studia all’estero per laurearsi è aumentato del 36% in soli 3 anni; nel frattempo il numero di studenti stranieri iscritti all’università in Italia è aumentato solo del 12%. Tra le anomalie, contrariamente agli altri Paesi, il tasso di occupazione dei giovani laureati in Italia è molto inferiore a quello dei laureati intorno ai 60 anni. Inoltre le competenze trasmesse dall’università non sembrano ricercate dalle imprese.

(di Simona Tagliaventi/ANSA)

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