Battaglia a Tripoli assediata dai ribelli, Sarraj trema

Le difese di Tripoli sbriciolate dagli attacchi aerei americani contro Gheddafi (Archivio)
Si combatte a pochi chilometri dal centro. ANSA/CLAUDIO ACCOGLI

IL CAIRO. – Tripoli è sotto assedio. L’ottava giornata di scontri segna l’avvicinarsi delle milizie ribelli ad una manciata di chilometri dal centro della capitale libica, in un gioco di alleanze che ha fatto saltare i già vaghi schemi validi fino a qualche tempo fa. Quel che è certo è che il premier Fayez Al Sarraj, riconosciuto dall’Onu e dall’Italia fra l’altro come garante degli interessi di Roma nella lotta al traffico di migranti, è in bilico.

Costretto a spostare la sala operativa del suo ministero dell’Interno in un centro a est di Tripoli e a far smentire tv locali che sbandieravano un attacco armato al Consiglio presidenziale. Ufficiale, perché fornito dal ministero della Sanità, é invece il bilancio degli scontri in corso da lunedì scorso: 41 morti, otto persone formalmente date per “disperse” (che anche l’Onu considera decedute) e 128 feriti.

Fonti citate da media attendibili hanno riferito nelle ultime ore di due scontri principali che hanno visto coinvolta la Settima Brigata, la milizia un tempo dipendente dal ministero della Difesa ma ora ribelle e protagonista dell’attacco alle formazioni armate che controllano Tripoli, al momento per conto di Sarraj.

Violenti combattimenti hanno interessato il quartiere di Abu Salim, a soli sei chilometri dalla centralissima piazza dei Martiri, l’ex piazza Verde di Muammar Gheddafi. Mentre in un’altra zona, i ribelli hanno respinto una controffensiva di un’altra potente milizia, la Rada, fedele al governo di unità.

I combattimenti, anche a colpi di artiglieria, hanno innescato una ribellione in un carcere, quello della vicina Ain Zara, alle porte della capitale, con un’evasione di massa di circa 400 detenuti che i secondini hanno consentito, evitando di sparare e scongiurando un massacro.

In questo caos (oltre 1.800 le famiglie sfollate dalle zone di combattimento), l’ambasciata d’Italia resta operativa anche se, come hanno segnalato fonti della Farnesina, “con presenza più flessibile” che viene valutata sulla base delle condizioni di sicurezza. L’Eni, che non ha personale italiano a Tripoli, ha confermato che le proprie “attività nel paese al momento procedono regolarmente”.

Sul fluido fronte degli schieramenti, le potenti milizie di Misurata, quelle che al momento hanno in mano le chiavi militari del Paese, paiono avere un atteggiamento attendista: una sua forza antiterrorismo sarebbe a Tripoli solo per proteggere un carcere e non – com’era trapelato – per schierarsi sul fronte di battaglia.

Ma soprattutto, almeno secondo alcune fonti, un’altra poderosa formazione, quella di Zintan, avrebbe pericolosamente cambiato fronte, alleandosi con la 7/a Brigata che oltretutto potrebbe ora contare sul sostegno di una vasta galassia anti-governativa composta da elementi dell’ex regime e anche di ambienti dell’Islam radicale, passando per le forze dell’ovest libico vicine a Khalifa Haftar.

E proprio due sponsor politici militari del generale, Mosca e Il Cairo, hanno espresso quasi all’unisono “preoccupazione” per la situazione, mentre gli Usa hanno ribadito il loro appoggio a una mediazione Onu prevista per domani. Roma ha smentito che in questo quadro di scontri fra milizie si possa ipotizzare un “intervento militare” italiano.

La recente chiusura dell’aeroporto di Tripoli a causa degli scontri ha provocato poi l’ennesimo rinvio – per mancanza del numero legale – della seduta parlamentare a Tobruk che ha l’obiettivo di dare copertura costituzionale ad elezioni che la Francia vorrebbe tenere già a dicembre (per ora con in vista solo un candidato filo-Haftar) mentre l’Italia – confermata dai fatti di questa settimana – non vede le condizioni di sicurezza per svolgere a così breve scadenza.

(di Rodolfo Calò/ANSA)

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