Meeting: Gianni Letta e il lavoro, ammalia il “Popolo di Cl”

Gianni Letta arriva all'ospedale in visita a Silvio Berlusconi, e saluta i giornalisti.
Gianni Letta, storico braccio destro di Silvio Berlusconi. ANSA/MOURAD BALTI TOUATI

RIMINI. – Un caloroso applauso ha accolto al Meeting di Rimini Gianni Letta, che in un incontro intitolato “Una vita di lavoro” ha raccontato la sua esperienza umana e professionale al Popolo di Cl, ammaliato dal racconto di aneddoti ed esperienze dell’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. “Se non avessi sentito la cordialità del vostro applauso avrei potuto immaginare di assistere alla mia commemorazione, perché in genere solo di chi ci lascia si parla bene”, dice lo storico braccio destro in politica di Silvio Berlusconi che si schernisce per l’attenzione che la sala gli dedica in religiosa attesa.

Letta parla del lavoro, che considera “non solo una opportunità di crescita ma una dimensione della vita, che non va però elevata a idolo che rende schiavi”. Racconta di aver lavorato sempre “anche come operaio in fabbrica ed in uno zuccherificio, prima di scrivere sui giornali”. “Volevo e dovevo fare l’avvocato ma poi ho cominciato a scrivere sui giornali, dal Messaggero al Tempo all’Ansa fino alla Rai da corrispondente di provincia”.

Quindi c’è Roma ed il Tempo dove è stato da redattore fino a direttore ed amministratore per quindici anni. “E’ stata la stagione più bella della mia vita anche se vissuta nei tempi delle Br, quando ero braccato”. E poi, la politica. “Il suo compito è ricercare attraverso il compromesso e l’ascolto delle diverse posizioni il punto di equilibro che rappresenti l’interesse generale ed il bene comune. Esercizio nobilissimo e difficilissimo che dovrebbe rappresentare l’obiettivo di una classe politica responsabile”, dice Letta che si definisce “un giornalista prestato alle Istituzioni”.

E ovviamente, infine, Silvio Berlusconi. “Con Fedele Confalonieri ero contrario al suo ingresso in politica. Quando decise, lo lasciammo correre da solo la sua prima partita elettorale. Contrariamente alle previsioni di tutti, tranne le sue proprie, stravinse e mi chiese di dargli una mano a Roma. Chiesi a Scalfaro, che non lo ha mai amato, di vederlo in segreto prima delle consultazioni.

Scalfaro gli disse che nel rispetto della Costituzione egli avrebbe avuto l’incarico a formare il governo. ‘Ma non pensi di andare a Palazzo Chigi senza questo signore qui’, lo ammonì il presidente della Repubblica indicando me. Io accolsi l’invito a condizione di poter svolgere il mio ruolo in maniera rigorosamente istituzionale e senza schierarmi. Silvio – racconta – me lo consentì ed ha sempre rispettato questo suo impegno.

Non ho mai fatto politica ma ho lavorato al governo nel pieno rispetto della mia vocazione istituzionale: affrontando i problemi del governo senza il filtro, il pregiudizio, il condizionamento della ‘parte’ per trovare sempre il punto alto di compromesso per conseguire il bene comune. E ogni volta che Berlusconi voleva farmi almeno ministro gli ho sempre detto di no. E ho preferito restare dove si amministra, dove si governa senza far politica”.