Festival di Venezia: Roma, l’Amarcord di Cuarón in bianco e nero

Una scena del film Roma, l'Amarcord di Cuarón in bianco e nero
Roma, l'Amarcord di Cuarón in bianco e nero

ROMA. – Quel poco che si vede nel primo trailer in bianco e nero, e senza dialoghi, di ‘Roma’ di Alfonso Cuarón è abbastanza per capire che il regista messicano premio Oscar porta in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia non un film qualsiasi, ma il suo personalissimo Amarcord, la sua memoria.

E così, non a caso, Cuarón ha sempre parlato di quest’opera come del “suo film più importante” e in un’intervista a Indiewire spiega: “Il novanta per cento delle scene del film sono venute fuori dalla mia memoria, a volte chiaramente, a volte in modo più ambiguo. Quegli anni sono un momento che mi ha formato, ma anche un momento che ha trasformato il mio Paese, l’inizio di una lunga trasformazione del Messico”.

Con ‘Roma’, a cinque anni da ‘Gravity’, il regista torna al Festival di Venezia, ma questa volta con un film prodotto da Netflix che racconta la vita di una famiglia borghese di Città del Messico a inizio anni Settanta, una famiglia che ricorda molto la sua.

Ma, come si vede nel trailer, il film parla anche di un evento storico noto come il massacro del Corpus Christi, ovvero la violenta repressione, con tanto di morti, di una protesta studentesca da parte di un corpo d’élite dell’esercito messicano avvenuta nel 1971, a cui partecipò anche Oriana Fallaci.

Nel film anche un ritratto delle fatiche domestiche di Cleo e Adele, entrambe di origini mixteche, che lavorano per la famiglia nel quartiere borghese di nome Roma. Un nucleo familiare composto da Sofia, madre di quattro figli e con marito sempre assente, e con la tata Cleo alle prese con notizie disastrose che minacciano di distrarla dall’occuparsi dai figli della sua padrona che ama immensamente.

In questo film, che dopo Venezia verrà proiettato anche ai festival di Telluride, Toronto e New York e sarà disponibile prossimamente su Netflix e in sale selezionate, “tutta la ricerca era al mio interno – dice sempre Cuaron a IndieWire -. I personaggi che racconto esistono nella vita reale, sono persone che amo profondamente. Ho dovuto fare un viaggio attraverso i miei ricordi, nel labirinto della memoria. Questo vale anche per le conversazioni che metto in scena tra persone che erano lì davvero e che hanno vissuto quegli eventi con me”.

(di Francesco Gallo/ANSA)

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