Nel quartiere fantasma: “Non abbiamo più nulla”

La struttura del ponte Morandi sopra le case.
La struttura del ponte Morandi sopra le case.. ANSA/LUCA ZENNARO

GENOVA. – All’ingresso del quartiere, cento metri prima della zona rossa, la scritta sul muro la vedono tutti: “perché quello che lasci non va più via”. L’ha fatta nel 2006 un ragazzo innamorato ma per la gente che abita sotto il ponte ora è come se fosse lì solo per loro. “Non torneremo più e non dimenticheremo mai”.

Le case sotto il ponte Morandi l’hanno costruite per i ferrovieri, una decina di palazzine a più scale con l’affaccio su due strade, via Walter Fillak e via Enrico Porro, strette tra i binari. Treni di qua, treni di là. Ogni ora, ogni giorno. Poi negli anni sessanta è arrivato lui, il “mostro sopra le nostre teste”. Hanno pure tagliato una parte del tetto di due palazzine per farci entrare il pilone.

Per arrivarci si lascia la rotonda di Sampierdarena sulla sinistra e si segue la ferrovia, passando davanti al deposito dell’Amt, l’azienda dei trasporti genovesi. “La guerra tra poveri non serve a nessuno” hanno scritto sul muro d’ingresso. Qui ci abita gente che lavora assieme a vecchi portuali in pensione, donne che parlano solo spagnolo e ragazzini che hanno nomi sudamericani e ogni tre parole è un ‘belin’. Immigrati di seconda generazione, figli di gente arrivata dall’altra parte del mondo per lavorare a testa bassa, come fecero gli italiani tanti anni fa.

La zona rossa va dal civico 2 al civico 11 e quando ci entri istintivamente cerchi la maschera antigas: sembra di essere in uno di quei posti dove è appena esplosa nelle vicinanze una centrale nucleare e tutti sono fuggiti via lasciando ogni cosa al suo posto. E’ tutto immobile: le auto parcheggiate bene e i motorini lasciati in mezzo alla strada, le tende da sole tirate e la posta nelle cassette. Al civico 18 uno scivolo colorato stride accanto al muraglione grigio della ferrovia.

“Io qui ci sono nato, sotto al ponte proprio – dice Fabio Lisci mentre i vigili del fuoco lo accompagnano a riprendere qualcosa in casa – Ci nasci, ci convivi ma non ti ci abitui mai, pensi sempre che possa cadere anche se poi non ci credi mai fino in fondo. Neanche l’altro giorno quando l’ho visto venire giù ci ho creduto”.

Giovanni Sanna, ex finanziere in pensione, è uno sfollato pure lui, vive dall’altra parte della ferrovia, in Via del Campasso. “Che resto a fare qui, il barbone che dorme in strada o in albergo?. Me ne andrò ma non ho neanche le chiavi della macchina, non ho niente. Una situazione assurda, da un giorno all’altro sei senza più nulla. Siamo messi male davvero”.

Al civico 7 il silenzio è pesante e la scritta nel cortile sa d’antico: “vietato il gioco della palla”. Alzi lo sguardo e proprio sopra la testa incombono gli stralli arrugginiti del ponte. Uno di quelli, è l’ipotesi, ha ceduto e si è portato giù tutto. Dieci metri più avanti ci sono i due civici su cui la struttura sembra appoggiarsi, il 9 e l’11. Una maglietta arancione da bambino stesa ad asciugare segna il confine: finisce Sampierdarena inizia Certosa.

“Anche se non ce lo dicono lo abbiamo capito da soli, perché quel ponte ce l’abbiamo sopra la testa da 33 anni – Giuseppa Taormina è sicura – Abbatteranno casa mia, da un giorno all’altro ci hanno tolto tutto e ora siamo qua, senza nulla. Se ci daranno la casa? Voglio vedere che non ce la danno la Lega e i Cinquestelle. Li abbiamo votati anche noi sai? Abbiamo avuto per 50 anni politici che non hanno fatto nulla, loro promettono di cambiare. Bene, ora hanno l’occasione per dimostrarlo”.

L’amica Maria scuote la testa. In questo momento non le importa nulla di quel che sarà. “Provate a mettervi nei miei panni, nei panni della gente che ha perso tutto in un istante. Cosa volete sapere, non c’è proprio nulla da dire”.

Valeria e Gabriel Manzueta sono seduti al Centro Civico Buranello, il punto d’incontro per gli sfollati. Attendono che gli dicano qualcosa, che gli facciano sapere dove andranno visto che a casa non ci possono tornare. Abitavano al numero 9 di via Porro. Lui lavora al Bingo, lei è disoccupata. “Ogni notte era un inferno, quel ponte lo sentivamo scricchiolare e poi i lavori non finivano mai, ogni giorno, fino all’una di notte”.

Anche loro credono nel governo Lega-5s e sono convinti che daranno loro la casa che hanno promesso. “Non abbiamo mai avuto fiducia nei governi passati ma in questo sì – dice Gabriel serio – ci hanno fatto sentire che faranno qualcosa, Salvini ha già bloccato gli sbarchi. Ora vediamo se sono davvero quelli del fare, vediamo se ci daranno risposte o ci lasceranno senza nulla come tutti gli altri. Però stavolta ci fidiamo”.

Dall’altra parte di casa loro, su via Fillak, a 20 metri dal ponte maledetto, c’è il manifesto dell’ultima fatica di Tom Cruise. Esce il 29 agosto. “Mission impossible: fallout”. La missione impossibile, per la gente delle ex palazzine dei ferrovieri, è tornare a casa.

(dell’inviato Matteo Guidelli/ANSA)