Se Atene piange, Sparta non ride

Il presidente della Repubblica, Nicolàs Maduro
Se l’Opposizione naviga in acque agitate, il Governo non lo fa certo in quelle tranquille. Non riesce, infatti, ad uscire da una crisi che rischia di sommergerlo provocandone il naufragio definitivo.

Se Atene piange, Sparta non ride. Proprio così. Se l’Opposizione naviga in acque agitate, il Governo non lo fa certo in quelle tranquille. Non riesce, infatti, ad uscire da una crisi che rischia di sommergerlo provocandone il naufragio definitivo. Il cane che rincorre la coda. Il capo dello Stato cerca ad ogni costo di contenere gli effetti dell’iper-inflazione. Ma lo fa gettando legna sul fuoco. Ovvero, decretando aumenti salariali sempre più consistenti e frequenti che retro-alimentano il fenomeno. Nessun provvedimento, invece, per frenare la contrazione del Prodotto Interno Lordo e ricondurre l’economia verso la crescita.

I prezzi dei beni di consumo continuano a salire in ascensore mentre i salari vanno per le scale. La forbice tra i due si allarga inevitabilmente e a velocità preoccupante. Almeno per i consumatori. La quotidianità dei lavoratori diventa sempre più incerta. Ad essa, poi, deve aggiungersi la mancanza di medicinali, la precarietà degli ospedali, l’inefficienza del trasporto pubblico e via di seguito.

L’aumento periodico dei salari, che comunque non può equipararsi al meccanismo della “scala mobile”, ha due effetti diametralmente opposti. Da un lato, permette al governo, attraverso abili strategie comunicative, di giustificare la propria gestione fallimentare. Dall’altro offre la possibilità di attribuire ogni responsabilità ad una presunta guerra economica condotta dal capitalismo internazionale. E, comunque, mostrerebbe il lato umano di un governo che aumenta stipendi, preoccupato del benessere dei suoi cittadini. In realtà retro-alimenta l’iper-inflazione. Stando al Fondo Monetario Internazionale, i prezzi potrebbero aumentare del 1.800.000 per cento in due anni. Ovviamente, sempre se il governo continua con la sua politica economica. 

Come sempre accade, il consumatore tende a semplificare linguaggio e calcoli. E così, parla di mille bolìvares per indicare il milione di bolìvares. L’effetto psicologico ricercato dalla riconversione monetaria e dal nuovo conio, che era poi l’unico che offriva l’operazione di make-up, è oggi pressoché inesistente. E’ stato superato dalla realtà; dall’iper-inflazione che tutto lo distrugge.

Nel frattempo, il prezzo del greggio mostra una tendenza alla crescita. Ma l’industria petrolifera nazionale non riesce ad approfittarne. PDVSA, che era il fiore all’occhiello del Venezuela oggi vive una profonda crisi. Trasformata nel salvadanaio del Governo, soffre le conseguenze della mancanza di ammodernamento e della carenza di manutenzione. Dai quasi 3 milioni di barili al giorno, la produzione è precipitata ad appena poco più del milione di barili. Pochi, troppo pochi per permettere al governo di continuare con la sua politica paternalista di assistenza e sussidio ai venezuelani. Per anni, i governi di turno della Quarta Repubblica hanno cercato di non cadere nella tentazione di arroccarsi dietro lo stato assistenziale. Non sempre ci sono riusciti. Nel ventennio “chavista” è stato questo il cavallo di battaglia. Lo Stato paternalista e assistenziale ha colmato la scena.

I prezzi del greggio, che a giugno del 2017 non superavano i 42 dollari il barile, hanno raggiunto e superato i 70 dollari il barile. Per il governo del presidente Maduro sarebbe una occasione unica per per rafforzare il proprio potere. Ma non può perché la produzione nazionale è ai minimi storici. E all’orizzonte non pare vi sia possibilità alcuna di aumento. L’evoluzione del mercato internazionale, tra l’altro, lancia gli Stati Uniti al vertice della classifica dei produttori di greggio. E’ un fenomeno che preoccupa il Venezuela. Gli Stati Uniti potrebbero decidere di ridurre ulteriormente l’importazione dal Venezuela.

Se il governo boccheggia, l’Opposizione annaspa.  Non ha gli strumenti, la forza per mettere il governo alle corde. Deve affrontare i propri fantasmi. Lotta contro la propria ombra. Divisioni interne, gelosie, incomprensioni, l’hanno condotta ad un vicolo cieco. E non riesce ad uscirne. Lo scisma di Accn Democratica solo approfondisce e aggrava le divisioni interne. Fa emergere, in tutta la sua gravità, il proprio dramma.

Non si tratta di avere un obiettivo elettorale comune ma di trovare un accordo sul come raggiungerlo. Più importante ancora, cosa fare dopo. Patto, accordo, contratto. Non importa il nome ma il fondo della questione. Determinante è il programma che, accettato da tutte le forze politiche, permetta di avanzare nel rispetto delle differenze ideologiche. Deve essere una strategia che tenga conto anche del “chavismo”, un fenomeno ormai parte della realtà politica del paese. Non si tratta di distruggerlo, ma di renderlo partecipe. L’alternanza al potere non può escluderlo. Immediatamente dopo la morte di Franco, Felipe González, come si legge nei suoi quaderni, disse del Partito Comunista Spagnolo:  

“Ciò che meglio combatte il Pce sono le urne”. 

Oggi si potrebbe dire lo stesso del Psuv: 

“Ciò che combatte meglio il ‘chavismo’, sono le urne”.

Ovvero, elezioni trasparenti, libere e democratiche.

Mauro Bafile