Piccola Croazia grosso talento, la classe al potere

Nella foto l'ululo di gioia di Modric dopo un gol ai Mondiali.
Modric: piccolo principe diventato idolo (foto: ANSA/EPA)

ROMA. – Alla vigilia dei Mondiali qualcuno aveva detto che, se i giocatori che la componevano avessero espresso il 70 per cento del proprio potenziale tecnico, la nazionale croata sarebbe arrivata quantomeno fra le prime quattro, eguagliando magari il primato stabilito in Francia, ai Mondiali del 1998. Nell’ultimo Mondiale dello scorso millennio, infatti, la Croazia acciuffò il terzo posto, dopo aver sconfitto l’Olanda nella finale fra le deluse.

A 20 anni esatti, la Croazia si ripropone, questa volta non per il podio, ma addirittura per mettere le mani sulla coppa più bella. La squadra a scacchi biancorossi ha doppiato la storia, approdando per la prima volta nella più ambita finale dei Mondiali e facendolo da seconda nazione più piccola fra quelle che sono riuscite a entrarvi, preceduta solo dall’Uruguay.

I sudamericani, infatti, quando si giocarono l’allora Coppa Rimet (1930 e ’50) erano un popolo di circa 2,5 milioni, la Croazia oggi conta poco più di 4 milioni di abitanti. Già ai tempi della Nazionale jugoslava emergevano i talenti provenienti da Zagabria, Spalato e dintorni, nel calcio come in altre discipline come basket e pallanuoto. La Jugoslavia riuscì a sfiorare il titolo europeo in Italia, nel 1968, arrendendosi agli azzurri di Valcareggi solo nella finale-bis, a Roma.

Ai Mondiali il talento si sprecava e la disomogeneità prevaleva, conseguenza delle divisioni etniche e religiose. Basta rileggere la formazione della Jugoslavia a Italia ’90, con Savicevic, Stojkovic, Prosinecki, Suker, Pancev, Susic, Katanec e compagni, per rendersi conto del ‘peso’ della squadra; molti di quei campionissimi l’anno dopo avrebbero vinto Coppa dei Campioni (con la Stella Rossa) e Intercontinentale.

“Siamo una piccola nazione con un grande patrimonio di talento: non so spiegare come possa succedere, ma è così”, ammette Ratko Rudic, olimpionico nella pallanuoto con la Jugoslavia, ma anche con gli azzurri a Barcellona ’92. “Abbiamo il pregio di produrre una serie interminabile di talenti che spiccano negli sport a squadra per il forte spirito di appartenenza a un popolo, che li ha sempre animati”, le parole del leggendario ct soprannominato ‘Il tiranno’.

E la pluridecorata saltatrice in alto, la bella Blanka Vlasic, ha esaltato su Instagram l’impresa della ‘sua’ Croazia, con un eloquente “Piccolo Paese, squadra d’oro. Ben fatto, Croazia. Orgogliosa di voi, ancora un po’ e la coppa può essere nostra”.

Il Paese, che ha dichiarato la propria indipendenza il 25 giugno 1991, è più che mai in fermento e i nomi di Mandzukic, Modric, Rakitic, Subasic, hanno preso posto nel cuore dei tifosi di quelli mai dimenticati di Boban, Prosinecki, Suker, Stanic.

La Croazia era arrivata ai Mondiali con le credenziali di squadra capace di tutto: di grandi imprese, ma anche di clamorosi tonfi. Il ct Zlatko Dalic ha saputo trasmettere la giusta armonia; eppure, si è seduto su quella panchina solo il 7 ottobre 2017. Il cammino verso il torneo in Russia è stato a dir poco tormentato: dopo avere rischiato di stravincere un girone nemmeno troppo difficile, i croati sono stati preceduti in classifica dall’Islanda, trovandosi costretti ad affrontare l’appendice del Play-off contro la Grecia.

I rischi legati a una possibile mancata qualificazione sono costati la panchina ad Ante Cacic, che aveva a sua volta sostituito Niko Kovac dopo l’Europeo 2016, concluso con una cocente eliminazione per mano del Portogallo negli ottavi, ai supplementari. Gli stessi supplementari che, per tre volte, hanno promosso la Croazia in Russia.

(di Adolfo Fantaccini) (ANSA) –

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