Traffico migranti e armi sulla rotta dei Balcani, 17 fermi

Un ragazzo con un fucile in mano, visibile solo il corpo.
Tratta migranti e traffico armi, fermate 17 persone

PALERMO. – Gli investigatori le descrivono come le due anime di un network criminale con enormi potenzialità e cellule in più Paesi. Un’organizzazione capace di diversificare i business illeciti tra l’organizzazione di viaggi di profughi per l’Europa lungo la rotta balcanica, il riciclaggio di denaro sporco, oro e diamanti rubati e il traffico di armi da guerra. Due bande collegate tra loro con contatti con mafia e gruppi paramilitari jihadisti, scoperte dalla procura di Palermo che ha disposto il fermo di 17 persone: siciliani, kosovari e macedoni.

A capo dell’associazione criminale di kosovari, emerge dalle indagini dei carabinieri, c’è Arben Rexhepi, albanese con un passato, durante la guerra nei Balcani, in un gruppo paramilitare dell’UCK. Era lui a reclutare i migranti da far arrivare in Italia. I complici – Driton Rexhepi, Xhemshit Vershevci, Franco e Tiziano Moreno Mapelli, Ibraim Latifi e la sua compagna Jlenia Fele Arena – portavano in auto i profughi in Svizzera.

Grazie ai protocolli di cooperazione internazionale con la Polizia Cantonale Svizzera e alla collaborazione con personale del Nucleo Informativo di Venezia, sono stati scoperti due viaggi illegali organizzati dalla banda nel 2017. Per arrivare oltre confine ai profughi venivano chiesti tremila euro ciascuno.

La seconda organizzazione, secondo la Dda della Procura, gestita a Palermo da Fatmir Ljatifi e Giuseppe Giangrosso, reclutava cittadini slavi da far entrare nel nostro Paese con falsi contratti di lavoro. Dario Vitellaro, altro componente della banda, aveva trovato una società compiacente in grado di assumere fittiziamente gli stranieri per fare avere loro un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Ljatifi, secondo gli investigatori, aveva la disponibilità di kalashnikov e bombe che avrebbe venduto anche a una cellula di combattenti del gruppo paramilitare “Nuovo UCK”, protagonista nel 2015 di un attentato commesso nella cittadina macedone di Kumanovo.

Sette mesi fa è stato fermato dai carabinieri a Villabate di ritorno da un viaggio nel Kosovo. Gli sono stati sequestrati cellulari e computer con foto e video di diamanti e di armi commercializzate all’estero. Il 16 novembre 2016, il 27 settembre e il 20 ottobre 2017, inoltre, sono stati documentati incontri (due all’outlet di Dittaino e uno a Palermo) fra Ljatifi, Giuseppe Giangrosso, e un mafioso catanese indagato anche per rapina, traffico di stupefacenti e di armi.

Il 16 novembre ai summit avrebbe partecipato anche il nipote del capomafia di Belpasso, Giuseppe Pulvirenti, detto “u malpassotu”. I guadagni maggiori, però, la rete criminale li avrebbe fatti col riciclaggio di oro e il traffico di diamanti. Ljatifi e Giangrosso avevano realizzato un business milionario. L’albanese era in contatto con rapinatori che vivono nell’area balcanica, specializzati nella “ripulitura” di banconote macchiate di inchiostro indelebile, perché frutto di rapine o furti a sportelli bancomat. Grazie all’utilizzo di reagenti chimici, sarebbe possibile ‘ripulirle’.

L’azione dei prodotti chimici utilizzati, avrebbe però come conseguenza il danneggiamento degli ologrammi impressi sulle banconote, rendendone, quindi, necessaria la sostituzione. Ljatifi li avrebbe acquistati per mesi a Napoli.

Il gruppo riciclava anche anche capitali provenienti da Hong Kong attraverso il sistema Electronic Banking Internet Communication Standard, che viene utilizzato principalmente per il trasferimento remoto dei dati, ad esempio per le transazioni di pagamento capitali, tra organizzazioni e banche. La struttura criminale poteva contare sulla complicità di aziende del nord-est d’Italia.

La banda inoltre aveva messo su una complessa e articolata trattativa per riciclare una partita di diamanti di provenienza illecita per un valore di circa 11 milioni di euro. I preziosi sarebbero stati venduti a facoltosi cittadini belgi.

(di Lara Sirignano/ANSA)

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