Scontro totale nel Pd. Calenda: “Andare oltre”. No di Martina

Carlo Calenda in una sezione del Pd a Roma
Carlo Calenda in una sezione del Pd a Roma (foto archivio) © ANSA

ROMA. – Di rosso in Toscana è rimasta una macchia. La trincea dei sindaci non regge all’onda lunga del 4 marzo e perde 33 Comuni su 76. “Il Pd c’è, esiste”, si sgolano dal Nazareno all’indomani dei ballottaggi. Il primo turno delle amministrative faceva sperare si potesse reggere, ma il crollo di Pisa, Siena, Massa, Imola, trascina via tutto. Mai come ora, il futuro è un’incognita.

“Andare oltre il Pd. Subito!”, twitta all’alba Carlo Calenda, che lancia per settembre una costituente antisovranista. Ma nel Pd cresce il fronte per il congresso subito. E Maurizio Martina frena Calenda: “Bisogna ricostruire il centrosinistra con il partito democratico al centro. Cambiare persone e idee”.

La fibrillazione tra i Dem per quella che secondo Calenda è una conclamata “irrilevanza”, emerge nelle dichiarazioni post voto. I renziani, come il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, rinfacciano a chi, a partire dai territori, ha chiesto a Matteo Renzi di non farsi vedere in campagna elettorale, che “si perde anche senza Renzi”. “No ai capri espiatori”, ribatte il ‘non renziano’ Luigi Zanda, che chiama alle proprie responsabilità chi ha perso “tutte le elezioni dal 2014”.

Mentre Matteo Orfini punta il dito contro “ex premier e ministri”, da Paolo Gentiloni a Carlo Calenda, che si sono spesi in campagna elettorale e non hanno ribaltato il risultato. “Oltre il Pd c’è solo la destra”, dice ancora Orfini, riecheggiando una vecchia frase di D’Alema. Calenda, che chiede ai dirigenti Pd di far largo a sindaci come l’ex M5s Pizzarotti, lo accusa di “presunzione”.

Volano stracci. Nel post voto pesano però i silenzi. Tace Paolo Gentiloni, a cui molti tra i Dem chiedono di prendere la guida del partito ricevendo un gentile no in risposta. Tacciono per ora i padri nobili Walter Veltroni e Romano Prodi, su cui molti sperano per un nuovo slancio ulivista. E tace Renzi, che è a Londra per proseguire il suo tour all’estero: in Ue sta lavorando per un asse tra En Marche di Macron, i Ciudadanos di Rivera e i socialisti, in vista delle europee.

Ma l’idea di un partito macroniano sembra accantonata, sulle macerie di una sconfitta. Chi parla, pronuncia intanto parole di fuoco. “Si è chiuso un ciclo storico”, dice Nicola Zingaretti, candidato in pectore al congresso Dem. Quel congresso nelle ultime settimane si era pensato di rinviarlo: sopire le tensioni, eleggere Martina segretario nell’assemblea che sarà convocata per il 7 o al più tardi il 14 luglio, ed eleggere il nuovo leader dopo le europee del prossimo anno.

Ma la scossa dei ballottaggi, che trascina il Pd ancora più giù, convince tanti tra i Dem che si debba reagire, non procrastinare. “Congresso subito”, dice in serata Area Dem, che fa capo a Dario Franceschini ed è in grado di spostare gli equilibri in assemblea. Ma lo dice anche un deputato gentiloniano come Roberto Giachetti, che invoca l’elezione di una “nuova classe dirigente”.

Un congresso viene invocato anche dall’area Emiliano con Francesco Boccia. Deve essere “costituente”, dicono Andrea Orlando e Gianni Cuperlo. “Il lavoro deve partire subito, con coraggio, e coinvolgere non solo il Pd”, afferma Nicola Zingaretti. I renziani, che scontano il fatto di non avere un candidato, si dicono disponibili al congresso, purché sia “vero”: “Nei tempi necessari”, dice Lorenzo Guerini frenando chi mette fretta.

Ma Calenda dice che non basta: serve una segreteria larga, inclusi Gentiloni e Minniti, che traghetti il Pd verso un congresso più largo, di centrosinistra, per il nuovo Fronte repubblicano. Achille Occhetto plaude e chiede di “ripartire daccapo”. Ma per ora i Dem non seguono Calenda e il renziano Luca Lotti attacca: “Evitiamo soluzioni in un tweet”.

(di Serenella Mattera/ANSA)