Pesce allevato o pescato: stesso gusto, prezzo diverso

Barchette da pesca in porto e reti ad asciugare.
Barchette da pesca in porto e reti ad asciugare.

ROMA. – E’ una questione forse di gusti e non di valori nutrizionali, perché solamente un palato davvero esperto è in grado di riconoscere un pesce d’acquacoltura rispetto a uno di cattura in mare, un comparto ‘felice’ dove l’Italia vanta un giro d’affari di oltre 400 milioni di euro. Insomma, valori nutrizionali simili, ma prezzo diverso.

A parlare è Francesco Gai dell’Istituto di scienze delle produzioni alimentari (Ispa) del Cnr, entrando in campo su un tema che ogni anno torna alla ribalta, perché con l’arrivo dell’estate si mangia più pesce e cresce la voglia di conoscere le differenze tra questi due prodotti che, avendo quotazioni molto diverse, possono generare dubbi al momento dell’acquisto.

L’acquacoltura, ricorda Federcoopesca, con 800 impianti e 7 mila addetti, vanta una produzione di 140.000 tonnellate l’anno che contribuisce al 40% del totale; vengono allevate 30 specie tra pesci, molluschi e crostacei ma il 97% della produzione si basa appena su trota, spigola e orata, cozze e vongole veraci.

“Il pesce allevato non è ancora ben visto come se fosse di qualità inferiore – spiega Gai – eppure diamo per scontato che la carne sia allevata e nessuno la considera di bassa qualità o pretende in macelleria di acquistare un animale selvatico cacciato”.

Il ricercatore fa presente che “in acquacoltura l’animale vive in un ambiente controllato, motivo per il quale mostra una maggiore salubrità certificata; questo vale anche per quanto riguarda l’esposizione a eventuali contaminati chimici come Policlorobifenili, diossine e metalli pesanti, che interessa soprattutto i pesci di grossa taglia come tonno e pesce spada, che tendono ad accumularli”.

Sotto l’aspetto nutrizionale, secondo Gai, la quantità di acidi grassi omega 3 è di poco inferiore rispetto a quello catturato in mare o in acqua dolce. Altro capitolo è il mangime, perché i pesci carnivori sono nutriti con prodotti contenenti farine vegetali, in particolare soia e cereali, precisa Gai, che contengono omega 6 e non gli omega 3, entrambi importanti per l’organismo.

Per ovviare a questa carenza gli allevatori, in prossimità della taglia commerciale introducono per circa 2 settimane una dieta a base di farina e olio di pesce; questo però non colma del tutto le differenze, spiega Gai, perché nel pesce d’allevamento la quantità di omega 3 rimane comunque inferiore rispetto a quello che si può trovare in una spigola pescata in mare.

(di Sabina Licci/ANSA)

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